giovedì 18 dicembre 2008

Rosa Bazzi: primo giorno in solitudine nel carcere di Vercelli

Da laStampa .it del 18/12/2008 ore (7:36) - sezione cronaca locale
Articolo di Marco Neirotti

IL PRIMO GIORNO IN SOLITUDINE
“Crepa, assassina”
I detenuti contro Rosa


Nel carcere di Vercelli c'è anche il fratello di Azouz

VERCELLI
La Rosa che - come in una grossolana e vendicativa ironia - si fa bianca è tutto quel che il suo mutismo con le labbra contratte e appena sfiorate da uno spasmo ha sigillato l’incontro tra la signora Bazzi in Romano e il direttore del carcere di Vercelli, Antonio Raineri, che si è accollato - dovere e umanità talora camminano insieme - la fatica di dirle: «No, signora. Olindo è a Piacenza, in un’altra casa circondariale. Stia tranquilla, mi creda, avrete i colloqui stabiliti per legge». Muta lei. Muta e sbiancata di solitudine, a poco meno di ventiquattro ore dal trasferimento.

Lui a Piacenza, lei qui a ritrovarsi, fra tante prigioni di questo bel Paese, tra le stesse mura dove sta Fami, il fratello di Azouz Marzouk, il papà di Yuossef, il bambino che la sentenza le imputa sgozzato con le sue mani. Lei qui dove nella cella che condivide con una donna arrestata per traffico di stupefacenti (e non per questo tossicomane) sente arrivare da lontano le grida di Fami e dei suoi amici: «Assassina. Ammazzati». Il trasferimento di Fami Marzouk ora è programmato. Ora? Dopo un ergastolo si potevano aspettare due giorni per i trasferimenti? Misteri di ministeri.

Già si replica che il gioco dell’isolarli l’una dall’altro e la scelta dei luoghi sia stata una strategia per piegarli a una confessione definitiva. Ma sembra più una concessione alla voglia di pene-simbolo di un’Italia da processo mediatico. L’altra sera sono stati i giornalisti ad avvertire il pm Massimo Astori, l’inflessibile, sicuro che il processo sarebbe finito così anche senza confessione iniziale, senza «ricostruzione» alle videocamere dello psichiatra Picozzi incaricato dalla prima difesa, senza ritrattazioni e senza cercare nuove parole di disperati.

A Vercelli c’è una sezione femminile con quaranta donne. Rosa è stata messa in cella con una detenuta che pensa al processo suo (droga, stesso reato di Marzouk), ma non fa scale di valori sociali e forse sarà d’aiuto al personale incaricato di guardare la «detenuta Bazzi» a vista per evitare gesti disperati. Alle 14 di martedì la «detenuta Bazzi» è arrivata, ha avuto la visita medica di prassi, è stata accompagnata in cella, ha mangiato panini. Il direttore Raineri si è fatto carico di spiegarle di persona che cosa ha di fronte. Niente maglioni, niente oggetti di Olindo, solo la promessa dei colloqui. Sarà una battaglia da combattere contro le carenze di organico, e in silenzio, perché se clamore verrà si dirà che è privilegiata. Mentre lo stupito e più di tutto intristito avvocato Schembri (sarà oggi in carcere a Piacenza da Olindo) trova parole sempre quiete per reclamare «diritti elementari» e sfuggire a «appendici di pena emotive e ingiustificate».

Rosa impietrita e sbiancata ha fissato il direttore del nuovo carcere come se aspettasse di sentirsi dire che aveva scherzato. Ha mangiato e si è fatta silenzio. Non si è tappata nemmeno le orecchie quando è partito il frastuono che ora i trasferimenti chiuderanno. Non c’era. Anche Olindo ora sa. Secondo la psicologa del Bassone di Como è fragile di una fragilità responsabile. Se cede è come lasciare la mano di lei sospesa nel vuoto. Ha già cominciato a scrivere, lento e minuzioso, come faceva su quella Bibbia che la Procura analizzò parola per parola. Fuori, sono d’accordo tanti con i parenti delle vittime: «E’ questa la vera pena». La pena chiesta dal pm era la più dura. Senza dipingerla di arabeschi e vendette medievali.

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