domenica 14 dicembre 2008

Delitto Mansi: altri fonti di informazione

Da LaGazzettadelMezzoggiorno.it Lecce del 14.12.08

Lecce, violentò e bruciò viva
bimba, si uccide nel carcere


LECCE - Ha posto fine alla propria esistenza con un atto violento, impiccandosi. La stessa violenza che usò nell’agosto di otto anni fa quando, con un branco composto da altre quattro persone, sequestrò ad Andria una bimba di appena otto anni, Graziella Mansi, e le diede fuoco dopo aver tentato di stuprarla. Si è conclusa così, nel carcere di Lecce, la vicenda umana di Vincenzo Coratella, di 27 anni.

La scorsa notte ha preso la cintura del suo accappatoio fissandone una estremità a una sbarra del letto a castello e impiccandosi con l’altra. Il suicidio, secondo il medico del carcere sarebbe avvenuto verso l’1. Circa tre ore più tardi il corpo è stato notato dagli agenti di polizia penitenziaria che hanno dato l’allarme. Secondo quanto si è appreso negli ambienti penitenziari, il giovane era da solo in cella.

Oltre a lui, per quella storia che scosse l’opinione pubblica per la sua efferatezza furono condannati con sentenza definitiva della Cassazione nel 2004 gli altri quattro autori della violenza, tutti giovani del posto: a Pasquale Tortora, di 28 anni, giudicato con rito abbreviato, furono inflitti 30 anni di carcere, agli altri (oltre a Coratella, Giuseppe Di Bari, 27 anni, Domenico Margiotta, di 25, e Michele Zagaria, di 29 anni), l'ergastolo.

Del branco era Tortora l’elemento chiave in quella vicenda, secondo quanto emerse nel corso del processo, ma anche l'elemento più debole. Per entrare a far parte del gruppo fu sottoposto a un vero e proprio esame: dovette rubare parti di alcune automobili, per dimostrare di essere un duro. Ma forse così duro non lo era. Fu l’unico, nel corso di una perizia psichiatrica, a palesare pentimento per quanto era accaduto.
"Non vedo l’ora di andare a processo per prendere l’ergastolo. Ho sbagliato – disse – e chi sbaglia paga per tutta la vita".

Ma a pagare per la crudeltà di quel branco in quell'agosto del 2000, nei boschi a ridosso di Castel Del Monte, maniero federiciano nel territorio di Andria, fu soprattutto la piccola Graziella. Tortora la attirò con uno stratagemma: "vieni, ti voglio mostrare una cucciolata di cani", le disse.

La bimba, che pure i genitori descrissero come creatura riservata e non propensa a dare confidenza, lasciò la bicicletta vicino a una fontana dove era andata per riempire un secchio d’acqua e lo seguì. Ma una volta nel bosco trovò gli altri quattro aguzzini. Qui avvennero i tentativi di stupro, le inutili richieste di aiuto della bambina, soffocate a calci, le sue urla di terrore e di dolore quando fu posta su un letto di foglie secche e data alle fiamme con un accendino.

Tortora fu fermato subito dopo il ritrovamento del corpo carbonizzato; in un primo momento disse agli investigatori di aver agito da solo, ma poi non resse e fece i nome dei suoi complici. Tra questi Coratella, che fu tra l’altro riconosciuto da un agricoltore come uno dei due giovani che egli vide quel pomeriggio correre in un podere vicino al luogo dell’omicidio.

Quando fu emessa la sentenza, i genitori e gli altri parenti l'accolsero con soddisfazione. Dal momento della tragedia l'intera comunità di Andria si strinse intorno a loro, ma la consolazione più grande probabilmente la ricevettero nel novembre del 2000, quando furono ricevuti in udienza particolare da papa Giovanni Paolo II. Ebbero lì la possibilità – spiegò allora il Vaticano – di ricevere la benedizione del Pontefice come "consolazione cristiana per i loro cuori, straziati dalla tragedia che li ha colpiti".

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