martedì 27 gennaio 2009

Ris Parma: robot analizza tracce di sudore e inchioda lo stupratore

Da IlMattino.it del 27.01.09

Ris: analisi sul sudore grazie a un robot per scoprire lo stupratore

ROMA (27 gennaio) - Negli abiti o in qualsiasi altro frammento di tessuto o sulla pelle potrebbero nascondere elementi decisivi per risalire al colpevole di uno stupro. Tra questi il sudore che non sfugge a un robot primo nel suo genere in Europa e utilizzato dal Reparto dei carabinieri per le investigazioni scientifiche (Ris) di Parma.

«È uno strumento in più per affrontare la violenza sessuale», ha detto il comandante del Ris, Luciano Garofano, nel convegno sul disegno di legge per l'istituzione della banca dati del Dna organizzato da Comitato Nazionale per Biosicurezza, Centro di ricerca interdipartimentale Eclsc dell'università di Pavia e Policlinico San Matteo di Pavia.

Un cerotto sulla pelle della vittima. «Abbiamo sviluppato una tecnica fondata sul prelievo gentile», ha detto Garofano mostrando le immagini di un tampone grande come un cerotto applicato al collo della vittima di una violenza. Premuto sulla pelle, il tampone raccoglie le tracce di sudore lasciate dal violentatore o dall'omicida.

Caccia ai cromosomi. «Il sudore - spiega - è un liquido biologico interessante, le cui tracce vengono lasciate inconsapevolmente e nel quale si rilasciano cellule». Per trovarle, aggiunge Garofano, «abbiamo organizzato una linea analitica». I reperti vengono analizzati da un robot specializzato, con bracci meccanici che muovono provette e aggiungono solventi per trattare i campioni. Nel caso di una violenza di gruppo, oltre ai cromosomi sessuali si possono andare a cercare quelli non sessuali e trovare così il profilo genetico di tutti i responsabili.

Generalmente prelievi convenzionali. «Ritengo - ha rilevato - che non siamo sufficientemente preparati ad affrontare un problema come la violenza sessuale», indicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) come una questione di salute pubblica e prima causa di morte nelle donne fra 15 e 44 anni. «Generalmente - ha aggiunto Garofano - nei casi di violenza sessuale si fanno prelievi convenzionali e non si pensa a proteggere indumenti, mani o altri elementi sui quali potrebbero trovarsi altre tracce, come quelle di sudore». Bisognerebbe quindi intervenire in modo diverso sulla scena di una violenza sessuale, «anche attingendo a professionalità ancora rare in Italia, come infermieri forensi devoluti ad accogliere vittime così particolari».

Test del Dna, Banca dati Dna e violenze sessuali

Il test del Dna ha enorme valore scientifico, con un margine d’errore probabilisticamente inconsistente, permette l’identificazione di un colpevole attraverso il confronto con il suo profilo genetico e quelli rinvenuti sul luogo del delitto, inoltre se si riscontra la presenza di profili misti, sangue o altro materiale biologico dell’assassino e della vittima insieme, si ha la certezza della presenza sul luogo e di un contatto fra vittima e aggressore.
Se avessimo a disposizione una Banca dati del Dna della popolazione, sarebbe possibile, in primo luogo escludere gli innocenti e in secondo luogo identificare i colpevoli di reati.
Nel Nostro Paese siamo notevolmente arretrati in questo contesto poiché l’istituzione di una Banca dati Dna incontra molte resistenze in nome delle tutela della privacy dei cittadini.

Occorre ribadire con forza e chiarezza che le sequenze di Dna utilizzate per costruire un profilo genetico non contengono in alcun modo dati sensibili, che possano ricondurre per esempio alla conoscenza di malattie nel soggetto analizzato o altre informazioni: le sequenze sono scelte, per spiegare in maniera semplice, ma non esauriente dal punta di vista tecnico, fra quelle cosiddette ipervariabili che permettono soltanto di distinguere un individuo da un altro.

Secondo aspetto da considerare: alcuni reati, come le violenze sessuali o le rapine sono caratterizzati da serialità, ovvero chi commette il crimine è probabile che lo ripeta infinite volte, almeno finchè non sarà fermato e identificato.

A questo punto, che peso ha sulla nostra sicurezza la privacy contro uno strumento fondamentale per le attività di polizia giudiziaria come una Banca dati del Dna?
Se pensiamo che il crimine ha caratteristiche ormai transnazionali e che altri Paesi ci inviano profili genetici da comparare per individuare, ad esempio, persone sospettate di terrorismo o criminalità organizzata, come può rispondere il Nostro Paese?
Perché, con le punte di eccellenza nell’investigazione scientifica che pur ci appartengono, non vogliamo dotarci di questo strumento indispensabile per tutelare i cittadini? In nome di quale libertà? Quella dei colpevoli di reati?

Nei Paesi dagli Usa, alla Gran Bretagna, dove è in vigore la banca dati del Dna, gli autori di crimini seriali sono stati individuati e assicurati alla giustizia con un incremento esponenziale.
Quanto vogliamo ancora aspettare, quante donne e bambini dovranno ancora subire violenza in nome della garanzia della Privacy?

Banca Dati Dna: strumento efficace per combattere il crimini sessuali

Da Parma.Ok del 27.01.2009

Violenza sessuale, Garofano:
"Sì alla banca dati del Dna"


ROMA, 27 GENNAIO - Sì alla banca dati del Dna per individuare i responsabili di violenza sessuale, anche nel caso di stupri di gruppo.

Oggi a Roma il comandante dei Ris di Parma, Luciano Garofano, ha espresso la sua posizione.

Nel convegno sul disegno di legge per l'istituzione della banca dati del Dna, approvato dal Senato in dicembre e che ora dovrebbe approdare alla Camera, Garofano ha fatto riferimento all'efficacia dell'analisi del Dna nel caso dello stupro di Guidonia, come in altre vicende analoghe.

"Credo - ha detto - che al di là dei militari e delle telecamere, abbiamo nella banca dati un presidio più valido, capace di garantire la maggiore efficienza dell'apparato investigativo, processi più snelli, minori costi e migliori livelli di giustizia".


Da Adnkronos 27.01.09
SICUREZZA: GAROFANO (RIS), LA BANCA DATI DEL DNA ARMA CONTRO GLI STUPRI

Roma, 27 gen. - (Adnkronos) - La banca dati del Dna come arma "fondamentale" per contrastare gli stupri. Il comandante del reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Parma, Luciano Garofano, intervenendo sull'allarme stupri che si e' riacceso dopo i recenti episodi avvenuti nella capitale, ritiene che non ci sia piu' tempo da perdere. E, offrendo il suo contributo al convegno 'Quale banca del Dna per l'Italia?', organizzato oggi a Roma, il colonnello del Ris di Parma ha evidenziato come il Dna sia "fondamentale per questo tipo di reati visto che, anche inconsapevolmente, una violenza sessuale lascia una vasta offerta di tracce".
Intervenendo al dibattito, Luciano Garofano, promosso di recente al grado di colonnello, ha parlato dell'utilita' delle banche dati nelle investigazioni criminali. E, al riguardo, ha osservato che "va bene invocare militari e telecamere, ma la banca dati del Dna e' fondamentale per intervenire su questo tipo di reati. Oltretutto sarebbe anche meno dispendiosa. Ci siamo trovati di fronte a diverse violenze sessuali, anche di gruppo, e abbiamo fatto centinaia e centinaia di confronti, risolvendo i casi magari dopo un anno o due dai fatti quando i soggetti erano pregiudicati". Per ora l'istituzione della banca dati nazionale del Dna ha ricevuto l'approvazione al Senato lo scorso 22 dicembre.

lunedì 26 gennaio 2009

Delitto Meredith Kercher: depositate motivazioni sentenza per Rudy Guede

Dall'agenzia Ansa.it del 26.01.2009 ore 21.12

MEREDITH: PARTECIPAZIONE ATTIVA DI GUEDE
PERUGIA - Rudy Guede "partecipò attivamente all'aggressione" che ha portato all'omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Lo scrive il gup del capoluogo umbro Paolo Micheli nelle motivazioni della condanna a 30 anni di reclusione inflitta all'ivoriano con il rito abbreviato. Un articolato provvedimento depositato questa sera. Secondo il giudice, che ha rinviato a giudizio Raffaele Sollecito e Amanda Knox, comunque "la condotta criminosa fu posta in essere in concorso tra più autori". Il gup ritiene inoltre "pacifica" una "aggressione sessuale".

KNOX FECE ENTRARE GUEDE IN CASA - Rudy Guede entrò nella casa di via della Pergola dove venne uccisa Meredith Kercher "perché ce lo fece entrare qualcun altro" e questi "altri non può essere" se non Amanda Knox. E' la ricostruzione che emerge dalle motivazioni con le quali il gup di Perugia ha condannato l'ivoriano a 30 anni di reclusione. Secondo il giudice non è credibile la versione di Guede di essere entrato nell'appartamento con il benestare della vittima. Il gup rileva poi che "se i segni di effrazione (trovati su una finestra della camera di una delle coinquiline - ndr) furono successivi alla morte della ragazza, se Rudy era in quella casa nello stesso contesto in cui vi era qualcuno che avrebbe poi manifestato l'interesse a far credere a un ingresso di ignoti malviventi, l'unica conclusione è che il Guede entrò in via della Pergola 7 perché ce lo fece entrare qualcun altro, titolare dell'interesse appena descritto (che altri non può essere se non la Knox)".

PIANO PER ISTINTI SESSUALI POI OMICIDIO - Parla di un "piano concordato per soddisfare istinti sessuali" poi sfociato verso una "intenzione omicida" il gup di Perugia Paolo Micheli motivando la condanna a 30 anni di reclusione inflitta a Rudy Guede. Il giudice ritiene quindi sussistente il concorso dell'ivoriano ma anche di Raffaele Sollecito e di Amanda Knox nei reati di omicidio e violenza sessuale. Nelle motivazioni della condanna il gup sottolinea che "la modifica di programmazione verso l'intenzione omicida (che indubbiamente si verificò in un momento successivo all'ingresso in scena del coltello, utilizzato in prima battuta per fini di minaccia all'emergere della reazione della vittima) venne accolta, accettata e perseguita da tutti dato che si mantennero coprotagonisti di una condotta che si prolungò ben oltre l'apparizione dell'arma". Secondo il giudice "nessuno scappò prima o cercò di fermare gli altri, né di sollecitare soccorsi, né manifestò dissenso rispetto a quella progressione criminosa". Per il giudice "ci si trova pertanto dinanzi ad un accordo criminoso da ritenere genetico quanto alla violenza sessuale".

Secondo la ricostruzione del gup Meredith venne colpita inizialmente con il coltello, ma non ferita mortalmente, quando era ancora in piedi (il delitto avvenne nella sua camera da letto). Circostanza provata - si legge nelle motivazioni - dalle macchie di sangue individuate sulla scrivania. Venne quindi spinta all'indietro - ritiene ancora il giudice - fino ad assumere la posizione supina nella quale "ebbe inizio la serie di toccamenti materialmente da riferirsi proprio a Guede". Il gup parla quindi di una "escalation di violenza non più controllata dinanzi alla reazione o alle grida di Meredith" culminata con un colpo letale sul lato del collo.

DIFENSORI SI RISERVANO COMMENTO A MOTIVAZIONI - Si riservano ogni commento "dopo una attenta lettura delle motivazioni" i difensori di Rudy Guede, gli avvocati Walter Biscotti e Nicodemo Gentile. I legali hanno già annunciato appello contro la sentenza. Guede si è infatti proclamato sempre estraneo a ogni addebito.



Da IlMessaggero.it del26.01.2009

Meredith, gup: «Rudy non è credibile,
ecco come partecipò all'omicidio»

«Un piano concordato a fini sessuali sfociato in tragedia»


PERUGIA (26 gennaio) - Rudy Guede «partecipò attivamente all'aggressione» che ha portato all'omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Così il gup di Perugia Paolo Micheli motiva la condanna a 30 anni di reclusione inflitta a Rudy Guede nel processo per l'omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Il gup, che ha rinviato a giudizio Raffaele Sollecito e Amanda Knox, parla di un «piano concordato per soddisfare istinti sessuali» poi sfociato verso una «intenzione omicida». Il giudice ritiene quindi sussistente il concorso dell'ivoriano ma anche di Raffaele Sollecito e di Amanda Knox nei reati di omicidio e violenza sessuale. Il gup ritiene inoltre «pacifica» una «aggressione sessuale».

Nessuno manifestò dissenso. Nelle motivazioni della condanna il gup sottolinea che «la modifica di programmazione verso l'intenzione omicida venne accolta, accettata e perseguita da tutti dato che si mantennero coprotagonisti di una condotta che si prolungò ben oltre l'apparizione dell'arma». Secondo il giudice «nessuno scappò prima o cercò di fermare gli altri, né di sollecitare soccorsi, né manifestò dissenso rispetto a quella progressione criminosa». Per il giudice «ci si trova pertanto dinanzi ad un accordo criminoso da ritenere genetico quanto alla violenza sessuale».

Prima ferita con il coltello. Secondo la ricostruzione del gup Meredith venne colpita inizialmente con il coltello, ma non ferita mortalmente, quando era ancora in piedi (il delitto avvenne nella sua camera da letto). Circostanza provata - si legge nelle motivazioni - dalle macchie di sangue individuate sulla scrivania. Venne quindi spinta all'indietro - ritiene ancora il giudice - fino ad assumere la posizione supina nella quale «ebbe inizio la serie di toccamenti materialmente da riferirsi proprio a Guede». Il gup parla quindi di una «escalation di violenza non più controllata dinanzi alla reazione o alle grida di Meredith» culminata con un colpo letale sul lato del collo.

Rudy Guede entrò nella casa di via della Pergola dove venne uccisa Meredith «perché ce lo fece entrare qualcun altro» e questi «altri non può essere» se non Amanda Knox. Secondo il giudice non è credibile la versione di Guede di essere entrato nell'appartamento con il benestare della vittima. Il gup rileva poi che «se i segni di effrazione (trovati su una finestra della camera di una delle coinquiline - ndr) furono successivi alla morte della ragazza, se Rudy era in quella casa nello stesso contesto in cui vi era qualcuno che avrebbe poi manifestato l'interesse a far credere a un ingresso di ignoti malviventi, l'unica conclusione è che il Guede entrò in via della Pergola 7 perché ce lo fece entrare qualcun altro, titolare dell'interesse appena descritto (che altri non può essere se non la Knox)».

Cogne bis: ancora riflettori su Annamaria Franzoni

Dall'agenzia Ansa.it del 26.01.2009 ore 15.34

COGNE: PROCURA, FRANZONI A GIUDIZIO
Accusa, tento' di inquinare prove durante sopralluogo villetta
(ANSA) - TORINO, 26 GEN - Anna Maria Franzoni a giudizio per calunnia. E' quanto chiede la Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta Cogne-bis. L'accusa si riferisce ad un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto durante un sopralluogo del 2004 nella villetta di Cogne. Oltre che per la Franzoni, la Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio, per frode processuale, di Eric Durst, il consulente svizzero che, secondo l'accusa, ha messo una falsa impronta nella casa di Cogne.

Da la Repubblica .it

La donna, che sta scontando 16 anni per l'omicidio del figlio
dovrà ora fronteggiare l'accusa di aver cercato di creare false prove
"Franzoni a giudizio per calunnia"
La richiesta della Procura di Torino
Archiviazione per Taormina. Chiesto il processo anche per il perito
che lasciò un'impronta nel garage cercando di costruire false prove

Articolo di MEO PONTE

TORINO - Anna Maria Franzoni a giudizio per calunnia. E' quanto chiede la Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta Cogne-bis per un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto durante un sopralluogo del 2004 nella villetta di Cogne.

Oltre che per la Franzoni, la Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio, per frode processuale, di Eric Durst, il consulente svizzero che, secondo l'accusa, ha messo una falsa impronta nella casa di Cogne.

Chiesta invece l'archiviazione di tutti gli altri nove indagati, tra cui l'avvocato Carlo Taormina.
"Pur essendoci degli elementi indiziari a carico degli imputati - ha spiegato il pm Marcello Maddalena in una conferenza stampa - gli elementi raccolti sono contraddittori e, a giudizio della procura, non consentono di sostenere l'accusa in dibattimento. In ogni caso se l'ordinamento prevedesse la calunnia colposa non avremmo avuto nessun dubbio nel chiedere il rinvio a giudizio".

Nella richiesta di archiviazione, che è composta da 81 pagine, si sottolinea però che "sussistono margini di rilevanza sotto il profilo civile per una eventuale valutazione di responsabilità ".

Il fascicolo della Procura di Torino si riferisce a un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto: il 28 luglio 2004 un gruppo di consulenti di Taormina (italiani e svizzeri) fecero un sopralluogo nella villetta di Cogne in cui due anni prima venne ucciso il bambino, e trovarono tracce che, qualche giorno dopo, portarono a una denuncia che adombrava il coinvolgimento di un guardaparco valdostano, Ulisse Guichardaz.

Una denuncia-boomerang, quella firmata da Anna Maria Franzoni che per il delitto del figlio Samuele ha avuto la condanna confermata in Cassazione a 16 anni di carcere, perchè le indagini portarono gli inquirenti a sospettare una manipolazione delle prove: da qui l'apertura di un procedimento per calunnia e frode processuale.

I periti del gip Pier Giorgio Gosso (compresi degli esperti dell'Fbi) dissero che in alcune delle trentacinque macchie rilevate dalla squadra di Taormina c'era dell'idrossiapatite, sostanza difficilissima da reperire in natura: questo portava a pensare che qualcuno avesse seminato delle macchie per simulare la fuga dell'assassino. Ma questa versione è stata smontata dal medico legale Carlo Torre: è stato lui a dimostrare che, quasi certamente, si trattava di

semplici escrementi di cane.

Tra gli indagati di cui è stata chiesta l'archiviazione ci sono, tra gli altri, il marito della Franzoni, Stefano Lorenzi, e i consulenti di parte Claudia Sferra ed Enrico Manfredi.


Da IlMessaggero.it del 26.01.2009

Cogne, nuovi guai per la Franzoni:
chiesto il processo per calunnia
La procura di Torino: tentò di inquinare la scena del delitto
Chiesta l'archiviazione per l'avvocato Carlo Taormina

TORINO (26 gennaio) - Anna Maria Franzoni a giudizio per calunnia. È quanto chiede la Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta Cogne-bis per un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto durante un sopralluogo del 2004 nella villetta di Cogne. La donna, che sconta 16 anni per l'omicidio del piccolo Samuele, avrebbe inquinato alcune prove, insieme al suo consulente svizzero, Eric Durst, rinviato anche lui a giudizio per frode processuale. Lo scopo: depistare le indagini e coinvolgere nell'inchiesta una terza persona.

Chiesta archiviazione per Taormina. Chiesta invece l'archiviazione di tutti gli altri nove indagati, tra cui l'avvocato Carlo Taormina. «Pur essendoci degli elementi indiziari a carico degli imputati - ha spiegato il pm Marcello Maddalena - gli elementi raccolti sono contraddittori e, a giudizio della procura, non consentono di sostenere l'accusa in dibattimento. In ogni caso - ha precisato il magistrato - se l'ordinamento prevedesse la calunnia colposa non avremmo avuto nessun dubbio nel chiedere il rinvio a giudizio». Del resto, nelle 81 pagine della richiesta, si sottolinea come «sussistono margini di rilevanza sotto il profilo civile per una eventuale valutazione di responsabilità».

Da IlGiorno.it del 26.01.2009

INCHIESTA 'COGNE BIS'
Chiesto il rinvio a giudizio per la Franzoni
La Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di calunnia ai danni di Ulisse Guichardaz nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta ‘Cogne bis’


Torino, 26 gennaio 2009 - La Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di Annamaria Franzoni per il reato di calunnia ai danni di Ulisse Guichardaz nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta ‘Cogne bis’. Nello stesso procedimento è stato chiesto il rinvio a giudizio per frode processuale nei confronti di uno dei tecnici della difesa di Annamaria Franzoni, Eric Durst. I magistrati torinesi hanno invece chiesto l’archiviazione per tutti gli altri indagati, tra i quali ci sono anche il marito della Franzoni, Stefano Lorenzi, e l’ex avvocato della donna, Carlo Taormina.

L’inchiesta era stata avviata nel novembre del 2004 a seguito della denuncia nei confronti di Guichardaz da parte della Franzoni, poco dopo la condanna in primo grado emessa a carico della mamma del piccolo Samuele Lorenzi, ucciso a Cogne il 30 gennaio del 2002. La Procura di Torino ipotizzava una presunta falsificazione delle prove nell’ambito delle indagini difensive condotte dai legali della Franzoni e dai loro consulenti.

"Pur essendoci elementi indizianti, abbiamo ritenuto che il quadro fosse contraddittorio e non consentisse di sostenere l’accusa a dibattimento". È quanto ha dichiarato il procuratore Marcello Maddalena a proposito delle nove richieste di archiviazione nell’ambito del procedimento "Cogne bis". Maddalena, che ha condotto le indagini con i magistrati Anna Maria Loreto e Giuseppe Ferrando, ha parlato di "oggettiva incertezza" aggiungendo che "se ci fosse ancora la formula dell’insufficienza di prove sarebbe stato questo il caso in cui utilizzarlo" e che "se l’ordinamento precedesse la calunnia colposa non avremmo avuto dubbi sul rinvio a giudizio anche di altri indagati".

Sulla richiesta di rinvio a giudizio di Anna Maria Franzoni ha pesato la condanna per omicidio confermata in appello e anche in Cassazione emessa nei confronti della mamma di Samuele Lorenzi, e, dunque, la consapevolezza che la donna, in quanto colpevole, avrebbe avuto nel momento in cui sporgeva denuncia per omicidio nei confronti di Guichardaz.

"Esistono sicuramente margini di possibile rilevanza sotto il profilo della responsabilità civile - ha detto Maddalena citando la conclusione dell’ordinanza con la quale la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio - verso chi ha oggettivamente calunniato il povero Guichardaz".
fonte agi

Facebook: dopo la mafia, ora anche i fan dello stupro di gruppo

Da LaStampa.it del 26.01.2009

LA POLEMICA
Sul Web i fan degli stupri di gruppo
La politica: regolamentare Facebook

Online il gruppo che esalta la violenza Schifani: "Ora dobbiamo intervenire" Veltroni: la pagina va chiusa subito
TORINO
Mentre la politica si divide sul tema della sicurezza e tre nuovi casi di violenze alimentano la polemica sulle città «pericolose», su Facebook nasce un gruppo a favore dello stupro di gruppo. Una goliardata che riscuote pochissimo successo- un solo fan dichiarato- ma che riesce a scatenare un vespaio intorno al social network più famoso del mondo. Il primo ad accorgersi della pagina, dopo la segnalazione di un lettore, è Walter Veltroni. «È una vergogna, quel gruppo su Facebook va chiuso» dice il segretario del Pd. L’allarme di Veltroni rimbalza sul sito, e subito i “naviganti” si scagliano contro il creatore della pagina. «Sei uno schifo di persona» scrivono. E piovono insulti.

Sul tema arriva anche il monito del presidente del Senato Schifani: «Credo che sia giunto il momento che il Senato non solo segnalial governo la delicatezza della questione di gruppi che su siti internazionali inneggiano alla violenza sulle donne o di sostegno a personaggi della mafia, ma che si attivi subito». Come? Regolamentando il sito, dice Gabriella Carlucci, cancellando «d’imperio i gruppi più offensivi e pericolosi». Secondo la vicepresidente della Commissione Bicamerale per l’infanzia «le donne italiane, vittime di abusi carnali, devono essere difese e tutelate. Dopo l’apologia della mafia i fan dello stupro di gruppo. Il social network più famoso del mondo sta diventando sempre di più un luogo virtuale dove impera l’illegalità ma soprattutto l’impunità». Sulla pagina dei fan degli stupri, intanto, sale l’indignazione, ma il gruppo non scompare.

«E' inaccettabile che su Facebook vi sia una community che si dice fan dello stupro ed è dovere degli amministratori del social network cancellarlo immediatamente». Lo dichiara in una nota Silvana Mura, deputata di Idv. «Il fenomeno della violenza sulle donne - aggiunge - è originato in gran parte da stereotipi culturali molto radicati nel tempo. E' necessario dunque impedire ogni forma di pubblicità che possa continuare a rafforzare questi stereotipi. Spetta a chi gestisce il social network vigilare sui contenuti che in esso vengono pubblicati, altrimenti deve essere la polizia postale ad intervenire di ufficio per oscurare qualsiasi contenuto che configuri apologia di reato o istigazione a delinquere».

«È intollerabile che Facebook ospiti gruppi che inneggiano alla criminalità e agli stupri». Lo dice il senatore del Pd Vincenzo Vita. «Senza nulla togliere alla libertà della rete - continua Vita - va detto che Facebook è una comunità specifica che non può non avere sue forme di regolazione. Non è pensabile, quindi, che si possa sorvolare su una vicenda tanto grave».




Da IlGiorno.it 26.01.2009

VIOLENZA CONTRO LE DONNE
L'appello di Veltroni a Facebook:
"Togliete i fan dello stupro di gruppo"
Il segretario del Pd si fa portavoce di una protesta che corre online: "E' una vergogna, quel gruppo su Facebook va chiuso, è apologia della violenza, un' istigazione contro le donne”


Roma, 26 gennaio 2009 - Da Facebook tolgono le foto delle mamme che allattano (giudicate forse scandalose) ma poi lasciano cose ben più gravi e scabrose. Ad esempio il gruppo dei "Fan dello stupro di gruppo": cosa che solo a pronunciarla fa tremare le vene nei polsi.
A chiedere a gran voce di cancellare da Facebook i tifosi dei branchi di stuprarori è Il segretario del Pd Walter Veltroni: "E' una vergogna, quel gruppo su Facebook va chiuso”, affermafacendo suo l’ allarme arrivato da molti utenti, e diffondendolo fra i tanti amici del suo profilo Facebook.

L`allarme nasce dal formarsi su Facebook di un gruppo che si autodefinisce ‘Fan degli stupri di gruppo’: “una vera e propria apologia della violenza - continua il leader del Pd - un' istigazione contro le donne”.

Moltissimie, insieme a Veltroni, le adesioni alla richiesta di una chiusura immediata, come era avvenuto qualche settimana fa con i profili Facebbok che inneggiavano a Totò Riina e alla mafia.

La vittima di violenza a Roma: "Mi faccio giustizia da sola"

Da LaRepubblica .it del 26.01.2009

La ragazza dopo la decisione di concedere i domiciliari a Davide Franceschini
"Perché hanno liberato il mio aguzzino? Se la vittima fosse la figlia del giudice..."
La rabbia di Gaia, violentata a Capodanno
"Se non fanno giustizia, me la faccio da sola"


ROMA - "Se non fanno giustizia come si deve io giustizia me la faccio da sola. Se avessero fatto alla figlia del giudice quello che quel mostro ha fatto a me, volevo vedere cosa sarebbe successo". Gaia ha la voce strozzata dalla rabbia. La barista dei Castelli Romani, violentata in un bagno chimico alla Fiera di Roma, durante il veglione di Capodanno, ha risposto con indignazione e dolore, nel corso di un'intervista rilasciata a Studio Aperto, alla decisione del gip di concedere gli arresti domiciliari a Davide Franceschini, 22 anni, il suo stupratore. Ha 23 anni e l'idea della vendetta diventa il suo modo per chiedere giustizia.

Sotto shock per la decisione del magistrato, interpretata non come provvedimento restrittivo ma come un riconoscimento di non colpevolezza, i genitori della giovane vittima. "Poi dicono che la gente si fa giustizia con le sue mani - ha gridato la mamma di Gaia fuori dalla sua abitazione - perché non si è pentito subito, perché non si è costituito prima? Questo mi dovete dire. Dopo tutto quello che ha subìto anche questa altra umiliazione, povera figlia mia. Non è possibile un fatto del genere". "Non cerchiamo vendetta - ha detto invece lo zio - ma solo giustizia".

"Quello l'ha presa per il collo e a momenti l'ammazza mia figlia - rincara invece la dose il papà della giovane barista - è uno schifo, uno schifo vero. Sta succedendo un macello in giro per Roma e tu giudice lo cacci subito fuori? A me ha rovinato una figlia questo qui. Ma io l'ho detto: lui tutte le sere quando va a dormire deve pensare, "ma domani cosa mi potrà succedere?" tutte le sere lo deve pensare, per tutta la vita. Si può sposare, avere dei figli, tanto io non dimentico, io lo aspetto".

Intanto la procura di Roma sta valutando se chiedere il giudizio immediato per Davide Franceschini, panettiere di Fiumicino. Il pm Vincenzo Barba farà oggi un punto della situazione con il procuratore capo Giovanni Ferrara. Ma alla luce della confessione di Franceschini, da sabato agli arresti domiciliari, l'ipotesi di un ricorso al giudizio immediato, ossia di un processo in tempi rapidi, appare assai concreta. Un'eventualità di questo genere sarà comunque subordinata alla conclusione degli accertamenti tecnici. Tra questi il prelievo di eventuali tracce biologiche dalla biancheria intima della ragazza ed il loro confronto con quelle che si dovessero trovare sulla felpa di Franceschini.

"La giustizia deve fare il suo corso - ha detto la mamma del panettiere agli arresti domiciliari - e per questo noi non vogliamo parlare e non rispondiamo alle affermazioni forti del papà della ragazza". Il gip ha ritenuto che la confessione del giovane, il fatto che sia incensurato e il pentimento mostrato per quanto avvenuto giustificassero la sua scarcerazione. In carcere Franceschini, così come aveva fatto davanti agli agenti della squadra mobile capitolina, ha ribadito di aver stuprato la giovane sotto l'effetto di un mix di alcool e droga.

(Articolo di Federica Angeli e Flaminia Savelli)


Da IlGiorno.it del 26.01.2009
LO STUPRO DI CAPODANNO
La vittima: "Mi faccio giustizia da sola"
La ragazza vittima della violenza sessuale a Roma commenta la decisione di concedere gli arresti domiciliari al suo aggressore
Roma, 25 gennaio 2009 - “Se non si sbrigano a fare quello che devono fare, io giustizia me la faccio da sola”. Dopo la decisione di concedere al suo violentatore gli arresti domiciliari, la ragazza che la notte di capodanno ha subito una violenza a Roma, nei pressi della Fiera, commenta la vicenda in esclusiva ai microfoni di Studio Aperto.

”Tu ci devi scrivere sul giornale che se non fanno giustizia come si deve, io giustizia me la faccio da sola. Cosa direi al giudice? Gli direi - prosegue - che se l’avessero fatto a sua figlia vorrei vedere cosa faceva”.

A Studio Aperto interviene anche la mamma: “E’ una vergogna, tutti sono sconcertati di questo fatto perché non è possibile, dicono che c’è giustizia ma dov’è la giustizia? Mia figlia è distruttissima dopo tutto quello che ha subito anche questa umiliazione, non è possibile un fatto del genere”.


Il padre, infine, parla anche di una giustizia personale: “E’ uno schifo, ma vedi cosa sta succedendo in questi giorni a Roma e tu lo cacci subito fuori? Io ho detto che lui tutte le sere quando va a dormire deve pensare ‘domani che cosa mi può succedere?’, tutte le sere per tutta la vita. Si può sposare, avere dei figli: tanto io lo aspetto, non c’è problema”.

Stupro di Roma, quando la politica confonde i cittadini

Il funzionario ha lasciato il Palazzo di Giustizia senza fare dichiarazioni

Stupro Capodanno, la vittima: ''Domiciliari al mio aggressore vanno bene, basta che sia punito''

Per il presidente del tribunale Paolo De Fiore e il presidente dei gip Carlo Figliolia, ''le richieste fatte dal pubblico ministero sono state aderenti alla normativa vigente e il gip non poteva andare oltre''

ultimo aggiornamento: 26 gennaio, ore 19:13
Roma, 26 gen. (Adnkronos) - "Non importa che sia ai domiciliari il mio aggressore... Purche' venga punito". E' lo sfogo della giovane che la sera di Capodanno e' stata aggredita durante la festa svoltasi alla nuova Fiera di Roma, assistita dall'avv. Fabrizio Federici. "Quando ho detto che volevo farmi giustizia era solo uno sfogo perche' credo nella giustizia che deve fare il suo corso e ringrazio tutte le forze dell'ordine, i magistrati per il lavoro svolto. Solo pochi giorni fa l'autore di questo gravissimo fatto era ignoto e senza il loro impegno non sarebbe stato assicurato alla giustizia". "Non mi importa -ha detto ancora la ragazza che sia in carcere o ai domiciliari... Sara' punito per quello che ha fatto e lo Stato dara' una risposta sicura nei modi e nelle forme previste. E che questo serva di monito perche' non si ripetano fatti del genere".

Intanto il capo dell'ufficio ispettivo del ministero di Grazia e Giustizia Arcibaldo Miller è stato in Procura a Roma per interrogare il pubblico ministero Vincenzo Barba, al quale e' affidata l'inchiesta sullo stupro avvenuto la sera dell'ultimo dell'anno nel corso della festa alla Nuova Fiera di Roma.

Miller ha avuto l'incarico dal Guardasigilli di occuparsi in particolare delle modalita' secondo le quali il ragazzo che si e' accusato dello stupro, Davide Franceschini, dopo essersi visto convalidare l'arresto dal gip Marina Finiti ha poi ottenuto su richiesta dello stesso pubblico ministero Vincenzo Barba, gli arresti domiciliari. L'interrogatorio avviene nell'ufficio del procuratore aggiunto Achille Toro. Dopo l'incontro con il procuratore aggiunto e il pm Barba, Miller ha lasciato il Palazzo di Giustizia senza fare alcuna dichiarazione.

Nella polemica provocata dalla concessione degli arresti domiciliari, intervengono anche il presidente del Tribunale Paolo De Fiore e il presidente dei gip Carlo Figliolia. Secondo i due magistrati ''la custodia cautelare non e' anticipazione di pena che si sconta all'esito della condanna. Il gip non poteva andare oltre il provvedimento richiesto dal pubblico ministero il quale, prima di fare la sua richiesta, aveva calcolato se ci fosse pericolo di fuga dell'indagato, di inquinamento della prova o di reiterazione del reato''.

I due magistrati hanno poi aggiunto: ''Quando il legislatore restringera' il potere del giudice, questi agira' di conseguenza. Sbaglia chi parla di messaggio errato. Il giudice deve applicare soltanto la legge. Non ci possono essere provvedimenti esemplari. Il giudice deve solo applicare la legge. E' vero che egli puo' ora sollecitare un giudizio veloce con condanna adeguata e non 'esemplare'. La condanna deve essere adeguata al tipo di reato commesso. Le richieste fatte dal pubblico ministero sono state aderenti alla normativa vigente e il gip non poteva andare oltre''.


Da IlMessaggero.it del 26.01.2009

Stupro Capodanno, presidente tribunale Roma: su domiciliari applicata la legge
Prefetto: non c'è emergenza sicurezza. Ispettori acquisiscono
copia provvedimento. Mancino: Csm pronto a valutare

ROMA (26 gennaio) - «Sbaglia chi parla di messaggi sbagliati, il giudice non deve mandare messaggi ma applicare la legge». Così il presidente del Tribunale di Roma Paolo De Fiore, insieme con il presidente dell'ufficio Gip Carlo Figliolia, interviene sulle polemiche suscitate dalla concessione degli arresti domiciliari a Davide Franceschini reo confesso dello stupro di Capodanno a Roma contro una giovane 23enne. Per De Fiore la richiesta del pm di concedere i domiciliari al giovane «non è assurda, ma aderente alla normativa, in quanto non sussistevano le esigenze richieste dalla legge per il carcere». «Si tratta di un ragazzo incensurato, che ha confessato ed è inserito in una famiglia - ha aggiunto De Fiore - Quando il legislatore ridurrà il potere discrezionale, il giudice applicherà questa nuova legge. Quello che si può e si deve sollecitare è un giudizio veloce con una condanna ad una pena adeguata». Per De Fiore
«le condanne esemplari invocate in questi giorni, tra l'altro non sono proprie del regime democratico». Il presidente del Tribunale spiega che quello che si deve sollecitare è invece un «processo veloce e una condanna adeguata al reato contestato». De Fiore, riferendosi infine ad un sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera dal quale è emerso che oltre il 90% degli intervistati non era d'accordo con la concessione dei domiciliari ha osservato: «La giustizia del popolo non è sempre una giustizia sicura. Ricordiamoci che oltre 2000 anni fa Gesù Cristo fu condannato proprio dalla giustizia del popolo».

Ispettori acquisiscono copia domiciliari concessi al reo confesso. Il capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller ha acquisito la richiesta di convalida e di emissione di una misura di custodia cautelare ai domiciliari a Franceschini, nonché il provvedimento emesso sabato dal gip Marina Finiti.

Mancino: Csm pronto a valutare. Il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino a proposito di un'eventuale apertura di pratiche a tutela del pm titolare dell'inchiesta e del Gip che ha concesso i domiciliari, ha detto: «Se ci saranno richieste di tutela potremo intervenire sulla questione ma per il momento non ci sono iniziative». Mancino ha spiegato: «Noi abbiamo compiti molto limitati, possiamo esprimere pareri su iniziative legislative se sono presentate dal governo e discusse in parlamento». Però, ha ribadito, «non siamo noi gli autori dell'iniziativa, né possiamo presentarla».

Prefetto Roma: non c'è emergenza sicurezza. «Nella Capitale non c'è alcuna emergenza sicurezza» ha detto il Prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, in un'intervista a One-o- Five Live, il canale in italiano della Radio Vaticana. «Nei giorni scorsi si sono verificati fatti criminosi significativi e raccapriccianti ai quali le forze dell'ordine daranno una ferma risposta» ha aggiunto Pecoraro spiegando che però «questo non è indice di un aumento dei reati che, contrariamente a quanto si dice, sono in calo». Contro la cirminalità Pecoraro auspica «un aumento della video sorveglianza laddove le forze dell'ordine per ovvie ragioni non possono essere presenti per il controllo del territorio». Riferendosi in particolare allo stupro di Guidonia, il prefetto si è detto «moderatamente ottimista».

La Russa: il giudice ha fatto male. «Sono un avvocato e normalmente aspetto le motivazioni ma il magistrato ha fatto male a non giudicare la gravità dell'atto e il ritorno che ha - spiega il ministro della Difesa, Ignazio La Russa - Io, al suo posto, lo avrei lasciato un po' agli arresti».

Veltroni: io non strumentalizzerò. Sui problemi della sicurezza, spiega Walter Veltroni, «serve serietà» e da parte del Pd non ci sarà mai «un tentativo di strumentalizzazzione», come avvenne invece da parte del centrodestra un anno fa, per esempio con l'omicidio della signora Reggiani.

La vittima: credo nella giustizia. «Non mi importa se quella persona stia in carcere o ai domiciliari sarà punito per quello che ha fatto» ha commentato ragazza vittima della violenza attraverso il suo legale, l'avvocato Fabrizio Federici. Toni sicuramente meno vendicativi rispetto alle parole di ieri in cui prometteva che si sarebbe fatta «giustizia da sola». «Lo Stato saprà dare una risposta sicura nei modi e nelle forme previsti che possa essere anche un monito affinchè non vengano compiuti altri fatti del genere», ha spiegato l'avvocato riportando il pensiero della sua assistita. Riguardo la volontà di farsi giustizia da sola la ragazza ha confidato al suo legale: «è stato solo uno sfogo, credo nella giustizia che deve fare il suo corso e ringrazio tutte le forze dell'ordine ed i magistrati per il lavoro svolto». «Solo pochi giorni fa l'autore della violenza non era noto e solo grazie all'impegno dei magistrati e delle forze dell'ordine è stato assicurato alla giustizia», ha concluso l'avvocato Fabrizio Federici.

«La cosa più brutto per una donna». «Per qualsiasi ragazza, per qualsiasi donna penso sia la cosa più brutta che possa succedere - spiega la ragazza di Genzano - Voglio che si spengano i riflettori sulla mia vicenda ed ho fiducia nella giustizia». «Porto, come dice il mio avvocato ancora i segni della violenza addosso - ha detto - sono in cura da uno psicologo, però confido nella giustizia e so che farà il suo corso e alla fine andrà tutto bene».

sabato 17 gennaio 2009

Processo di Perugia: non ammesse telecamere ma lo show continua

Riprende il processo di Perugia per l'omicidio di Meredith Kercher, a giudizio Amanda Knox e Raffaele Sollecito, l'altro indagato, Rudy Guede, è già stato condannato a 30 anni con il processo con rito abbreviato. La decisione della Corte d'Assise di lasciar fuori le telecamere e i fotografi, sembra un tentativo di moderazione dell'attenzione morbosa suscitata da Amanda, avvenente e fotogenica, che potrebbe turbare un sereno giudizio, distogliendo il focus attentivo dalla povera vittima, che rischia di essere dimenticata, oscurata dalla presenza scenica di Amanda. Interessante un intervento del giornalista Mentana al tg5 di oggi alle 13.00: " Se Amanda non fosse così bella, il processo di Perugia sarebbe così interessante?"

Ai lettori la risposta...



Da Agenzia Ansa.it del 17.01.2009 ore 13.51

SOLLECITO RESTA IN CARCERE DI TERNI
Si era ipotizzato un suo trasferimento a Perugia
(ANSA) - PERUGIA, 17 GEN - Resta nel carcere di Terni Raffaele Sollecito per il quale era stato ipotizzato un trasferimento a Perugia. Dopo aver partecipato ieri all'udienza di apertura del processo a suo carico e dell'ex fidanzata Amanda Knox per l'omicidio di Meredith Kercher, il giovane pugliese e' stato riportato nella casa di reclusione ternana. I due torneranno in aula all'inizio di febbraio quando la Corte comincera' a sentire i primi testimoni citati dall'accusa.

da IlCorrieredella sera.it del 17.01.2009

PERUGIA. PRIMA UDIENZA PER L'OMICIDIO DI MEZ. IL LEGALE DEL RAGAZZO: L'HA DISTRUTTO
«Amanda-Raf, due piccioncini»
Sguardi e sorrisi, show in aula
Lei spavalda, lui spaurito. La ragazza chiede che il processo sia pubblico: «Tutti devono vedere»

PERUGIA — Ha un sorriso smagliante, i capelli sciolti sulle spalle. Entra in aula così Amanda Knox. Per la sua prima volta in pubblico appare sicura, disinvolta. Raffaele Sollecito invece sembra teso, molto più nervoso. Ogni tanto gli sguardi si incrociano, sussurrano qualche frase, nulla di più. Perché come dirà nella sua relazione preliminare il difensore del giovane barese, l'avvocato Luca Maori, «la vita di Raffaele è stata distrutta il 25 ottobre, il giorno in cui ha incontrato Amanda ad un concerto di musica classica». Lui segue con attenzione il dibattimento, il maglione verde acqua che indossa sopra la polo beige lo fa sembrare pallido, ancora più giovane dei suoi 24 anni. Niente a che vedere con l'atteggiamento di lei che ride e scherza con l'interprete, con i legali, con le guardie carcerarie che stanno in piedi dietro ad entrambi.
Misura di sicurezza, ma anche di protezione da fotografi e telecamere che all'inizio affollano questa sala degli affreschi del tribunale troppo piccola per contenere la folla di giornalisti e operatori in fila dalle 7 della mattina per riuscire a entrare. «Voglio che sia un processo pubblico, tutti devono vedere e ascoltare la verità», dice Amanda. La stessa richiesta arriva da Sollecito: la Corte la accoglie ma lascia fuori le telecamere. Sono le 9.25 quando comincia il processo per l'omicidio di Meredith Kercher, la ventunenne studentessa inglese uccisa nella villetta di via della Pergola la sera del primo novembre 2007. La ressa è spaventosa, ma qui non è come per il delitto di Cogne o quello di Erba dove si prendeva il numeretto per entrare e godersi lo spettacolo.
Qui il pubblico non s'è fatto vedere. Il presidente della corte d'assise Giancarlo Massei aveva fatto riservare una decina di posti per i cittadini. Non ce n'è stato bisogno. Perugia sembra distante dai due ragazzi, lontana da questa vicenda che da un anno e mezzo pone la città al centro dell'interesse mediatico con le troupe e gli inviati arrivai da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania per seguire prima le indagini e adesso quello che accade in aula. Sono alleati Raffaele e Amanda, ma distanti. Sanno che per evitare la condanna ognuno deve reggere l'alibi dell'altro. Sanno che dovranno provare di essere rimasti nell'appartamento di lui mentre Mez veniva accoltellata e lasciata ad agonizzare sul pavimento della sua stanza. Lo dicono gli avvocati di lei Luciano Ghirga e Carlo Dalla Vedova quando annunciano di poter dimostrare che «Amanda non era nella villetta al momento del delitto perché stava con Raffaele a casa di lui». E poi tocca a Giulia Bongiorno annunciare che la difesa di Raffaele «dimostrerà che non c'è stato alcun festino perché non c'erano bicchieri, alcol, droghe, e comunque lui non avrebbe potuto parteciparvi perché la prima volta che ha visto Rudy Guede è stato in un'aula di giustizia. Ma soprattutto che i due non erano affatto una coppia annoiata e in cerca di nuove emozioni, perché stavano insieme soltanto da una settimana, erano due piccioncini, e uno dei due al primo amore».
Lui sembra ancora coinvolto: la cerca spesso con lo sguardo ricevendo in cambio poche battute. «Stai bene con i capelli così, molto più corti», gli dice Amanda. La carta che intendono giocare gli avvocati è sempre la stessa: Meredith fu uccisa da una sola persona. L'avvocato Maori assicura che «giustizia è stata già fatta. All'unico responsabile, Rudy Guede, sono stai inflitti 30 anni di carcere». Replica a distanza di Walter Biscotti, difensore del giovane ivoriano condannato in primo grado: «Il mio assistito parlerà al momento opportuno ». Ma il legale di Sollecito insiste: «Raffaele è vittima di un errore giudiziario che lo tiene ingiustamente in cella. Lui è una persona normale, uno come noi. È stato l'incontro con Amanda a cambiargli la vita perché ha avuto conseguenze tragiche e alla fine lo ha distrutto».
Amanda segue attenta, l'interprete traduce e lei si limita ad un lieve cenno della testa. Non appare affatto colpita dalle parole dell'avvocato. Lei vuole raccontare la sua verità. I suoi legali confermano che risponderà all'interrogatorio, così come farà Raffaele. Durante l'udienza i due ragazzi si rivolgono spesso ai difensori, chiedono chiarimenti, spiegazioni. Restano immobili soltanto quando la cancelliera legge i capi di imputazione e così ricostruisce quella terribile sera. Parla della violenza sessuale, del coltello che colpisce al collo Meredith, della sua agonia, della sua tragica fine. Il brusio di fondo si interrompe e nell'aula cala il gelo.

articolo di Alessandro Capponi e Fiorenza Sarzanini


da IlMessaggero.it del 17.01.2009

Meredith, Amanda: «Non ho paura»
Ammesse tutte le prove orali

PERUGIA (16 gennaio) - Si è svolta oggi la prima udienza presso la Corte d'Assise di Perugia del processo ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito, accusati per l'omicidio di Meredith Kercher. Sono state ammesse le prove orali chieste dalle parti. La corte si è invece riservata di decidere sull'eventuale acquisizione del memoriale scritto dalla Knox il 6 novembre del 2007. Disposte anche le deposizione della giovane americana e di Rudy Guede. L'udienza è stata poi rinviata al 6 e 7 febbraio prossimo per ascoltare i primi testimoni del pm. Amanda in aula ha detto: non ho paura, finirà bene.

Eccezioni respinte. Respinte dalla Corte d'assise di Perugia tutte le eccezioni preliminari presentate stamani dai difensori di Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Il presidente della Corte, Giancarlo Massei ha quindi dichiarato aperto il dibattimento. Riguardo alle eccezioni preliminari la Corte ha tra l'altro rilevato che la nullità dell'interrogatorio per la convalida del fermo di Sollecito venne contestata dal suo difensore di allora quando il giudice aveva già illustrato al giovane il fatto per il quale era finito in carcere «l'interrogatorio era già iniziato - è stato sottolineato nel provvedimento - e Sollecito aveva detto di voler rispondere». La Corte ha stabilito anche che sono acquisibili i memoriali della Knox.

Difesa Knox: inutilizzare memoriale. L'inutilizzabilità del memoriale scritto da Amanda Knox la mattina del 6 novembre del 2007 in attesa di essere portata in carcere dopo il fermo è stata chiesta dai suoi difensori alla Corte di assise di Perugia. Secondo l'avvocato Dalla Vedova il memoriale rappresenta una sorta di conseguenza di quei verbali della "presunta confessione". «Un documento - ha spiegato - scritto senza interprete, senza avvocato e senza che alla knox fosse detto quale era la sua posizione processuale». Tra le richieste istruttorie fatte alla Corte dai difensori di Amanda quella di interrogare in aula la stessa giovane americana.

In aula senza manette. Amanda e Raffaele sono stati condotti in aula entrambi senza manette, davanti alla corte d'assise di Perugia. Il primo ad entrare è stato Sollecito con indosso un giaccone verde e pantaloni beige. Sotto un maglione verde più chiaro. Sollecito, capelli corti e indossa i suoi occhiali da vista con una montatura in metallo, è apparso teso in volto e piuttosto dimagrito.

Dopo di lui è entrata in aula la Knox, jeans e una felpa grigia sopra a una maglietta a righe. Capelli sciolti con una pinza di quelle utilizzate per raccogliere la capigliatura agganciata sulla pelpa. Al loro ingresso nella sala degli Affreschi, i due sono stati presi d'assalto dai fotografi che, contrariamente a quanto si era appreso inizialmente, non sono stati fatti uscire.

Amanda: non ho paura. Come stai? «Bene, non ho paura, finirà bene». Dopo sette ore d'udienza davanti ai giudici popolari la Knox ha ribadito la sua innocenza. Lo fa mentre, scortata dagli agenti della polizia penitenziaria, lascia l'aula per tornare nel carcere di Capanne dove è detenuta dal 7 novembre del 2007. «È andata bene» ribadisce sorridendo, «verrà fuori la verità». Per tutta l'udienza Amanda è rimasta seduta accanto ai suoi avvocati con i quali ha parlato più volte per farsi spiegare i passaggi tecnici dell'udienza che, nonostante capisca perfettamente l'italiano, le risultavano difficili da comprendere. E spesso si è girata indietro cercando un volto amico, quello della zia Christine arrivata dagli Stati Uniti. «L'ho trovata dimagrita e un po' stanca - dice quest'ultima - ma serena. Sono contenta che siamo arrivati al processo, anche se tutta questa confusione in aula mi sembra una cosa assurda».

Processo a porte aperte. La richiesta di celebrare a porte chiuse il processo avanzata dall'avvocato Francesco Maresca che rappresenta come parte civile i congiunti della vittima è stata respinta. Vietate invece le riprese audio-video in aula.

Lumumba. Chiede giustizia ed è fiducioso di poterla ottenere Patrick Lumumba, parte civile nei confronti di Amanda Knox accusata di averlo calunniato. Il musicista congolese, coinvolto nelle indagini dopo le dichiarazioni agli inquirenti della giovane americana, ma poi completamente prosciolto, ha detto di non avere provato particolari emozioni nell'incontrare la Knox. Costituita parte civile anche la proprietaria dell'abitazione di via della Pergola dove avvenne il delitto.

Amanda e Raffaele «due piccioncini» .Ha definito Raffaele Sollecito e Amanda Knox «due piccioncini che stavano vivendo la prima settimana della loro storia affettiva» e non «una coppia annoiata» l'avvocato Giulia Buongiorno, uno dei difensori del giovane barese. La difesa di Sollecito dimostrerà che nella casa del delitto non c'è stato alcun festino, oltre al fatto che raffaele per la difesa, ha visto Rudy Guede per la prima volta in un'aula di giustizia. I legali di Sollecito hannop poi puntato l'attenzione su Guede come unico responsabile. Dal canto loro la difesa dell'avoriano ha detto di aspettarsi questa tattica difensiva e di essere molto vigili al riguardo.


Da LaStampa.it del 17.01.2009 ore 8.14

Amanda e Raffaele, contatto

Lui: “Mi trasferiscono nella tua prigione”. Lei: “Stai bene con i capelli corti”
GIANNI ARMAND-PILON
INVIATO A PERUGIA
Succede tutto intorno alle dieci e mezzo del mattino. La Corte d’assise è riunita in camera di consiglio per deliberare su alcune eccezioni procedurali, gli avvocati si sono alzati, gli agenti di polizia penitenziaria si guardano intorno o chiacchierano tra di loro. È in quel momento che sul banco degli imputati si crea di colpo un vuoto. Tra Amanda e Raffaele non c’è nessuno, due metri appena da riempire. È lei, che fino a quel momento ha dato le spalle al suo ex fidanzato mentre lui ne ha cercato con insistenza lo sguardo, a fare finalmente il passo: «Ciao, stai bene con i capelli corti...».

Raffaele è molto dimagrito. Il pullover verde pastello che indossa sopra la dolcevita beige gli dà un’aria ancora più dimessa. Lei no. In jeans, maglia a righe, felpa grigia con cappuccio e scarpe da tennis, è l’Amanda di sempre, dal vivo solo più bambina di come appare nelle fotografie. Allora Raffaele, come stai? «Vogliono trasferirmi, portarmi da Terni a Perugia. Dicono che sarà più semplice portarmi in aula». Lei sorride e sgrana gli occhi, come dire «fantastico, che bella notizia», ma lui l’interrompe: «Non sono felice. A Terni posso stare in mezzo ad altri detenuti, studiare, frequentare un corso di pittura e andare a messa una volta la settimana. A Perugia no». «No?». «A Perugia non ci sono detenuti condannati per i miei stessi reati. Tornerò in isolamento».

Adesso lei lo guarda con un’espressione lontana, ed è ancora lui a rivolgersi a lei. Le ultime parole che riesce a dirle, dopo quindici mesi di carcere e silenzi: «Sono pronto. Di là ci sono otto sacchi con dentro tutte le mie cose, vestiti, libri, il computer». «Ok Raffaele».

Rinvio a febbraio
La prima udienza fila via senza intoppi, con i giurati popolari emozionati come bambini al primo giorno di scuola, le telecamere subito ammesse e poi cacciate dall’aula (le udienze non potranno essere riprese), il presidente Giancarlo Massei che accoglie la richiesta degli imputati di celebrare il processo a porte aperte, presenti pubblico e giornalisti, e dodici furgoni con le antenne satellitari parcheggiati fuori per documentare un avvenimento che somiglia sempre di più a una fiction che a un processo penale.

Gli avvocati non deludono. Tuona Luca Maori, uno dei legali di Raffaele: «Il mio cliente è vittima di un tragico errore giudiziario. Non ha mai partecipato a quell’omicidio, né favorito nessuno. Per la morte di Meredith Kercher giustizia è già stata fatta, con la condanna dell’unico responsabile a 30 anni di carcere». Si riferisce a Rudy Guede, l’ivoriano che essendo già stato giudicato con rito abbreviato (trent’anni di reclusione) è fuori dal dibattimento, anche se sarà chiamato a testimoniare. E Giulia Bongiorno, altro avvocato di Raffaele: «Qui si cercherà di dimostrare che Meredith fu uccisa nell’ambito di un festino. Ebbene, le cose non stanno così. Raffaele e Amanda non erano due stanchi amanti in cerca di nuove emozioni. Si erano conosciuti pochi giorni prima a un concerto di musica classica. Erano due piccioncini, avevano appena intrapreso una storia affettiva prima che sessuale. E per uno dei due si trattava del primo amore». Infine l’avvocato Ghirga, legale (insieme con Carlo Dalla Vedova) di Amanda: «Dimostreremo l’assenza della Knox da quella casa. Non sarà un processo facile ma noi dimostreremo la sua innocenza. Perché lei non c’entra».

Lei, Amanda, ha un’interprete al suo fianco che le traduce i passaggi che non capisce e con cui ride e scherza per tutta l’udienza. Alla fine, giocherellando con un volume del codice di procedura penale, commenterà che la scelta di svolgere il processo a porte aperte è la miglior notizia che riceve da un anno abbondante a questa parte: «Finalmente potrò mostrare a tutti come sono. E spiegare come mi sono trovata in questa brutta storia. Meredith era mia amica. Non l’ho uccisa io».

Anche Raffaele sembra contento di come si sono messe le cose. Per due motivi. Primo: il presidente Massei ha fissato al 6 febbraio la prossima udienza, e fino a quel giorno lui non si muoverà da Terni. Secondo: la Corte ha ribadito che è diritto degli imputati fare dichiarazioni spontanee in qualsiasi momento del processo. E lui giura che ne ha di cose da dire e da rettificare. Solo una cosa non si spiega, Raffaele: i pubblici ministeri Mignini e Comodi non l’hanno inserito nella lista delle persone che vorranno interrogare in aula, e lui non capisce il perché. «Sarebbe stato controproducente», è la spiegazione ufficiale dei due pm. Sarà. Ma Raffaele non si fida, e spera che non si tratti di una mossa destinata a riservargli brutte sorprese.

Sospetto "Unabomber": richiesta archiviazione

Per Elvo Zornitta, l'ingegnere sospettato di essere il misterioso bombararolo che ha seminato il terrore nel Nordest da circa tredici anni, l'incubo sta finalmente dissolvendosi.
Non sono state trovate prove decisive a suo carico, quindi è un passo obbligato la richiesta di archiviazione.
La vita dell'ingegner Zornitta e della sua famiglia è stata sconvolta per lunghi anni, ora potrà ritrovare serenità, ma nulla sarà mai come prima, l'esperienza vissuta non si potrà cancellare, la sofferenza psicologica provata non potrà essere completamente eliminata, ma, forse, elaborata in modalità tale da consentire un accettabile livello di adattamento alle nuove situazioni che si proporranno nel futuro.



Dall'agenzia Ansa.it del 17.01.2009 ore 9.28

CHIESTA ARCHIVIAZIONE PER ZORNITTA
Indagato per Unabomber: arrivato giorno della mia resurrezione
(ANSA) - TRIESTE, 17 GEN - La Procura di Trieste ha chiesto l'archiviazione del procedimento contro Elvo Zornitta, indagato nell'inchiesta su Unabomber. La richiesta - di cui riferisce il Gazzettino - e' stata fatta per mancanza di 'elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio' e dovra' ora essere esaminata dal gip del capoluogo giuliano. Zornitta era indagato per lesioni personali gravissime e utilizzo di materiale esplosivo. La sue prima reazione: e' arrivato il giorno della mia resurrezione.


da Corrieredellasera.it del 17.01.2009
A TRIESTE

Unabomber, la procura chiede
l' archiviazione per Zornitta

L'ingegnere esce dalle indagini sul bombarolo: «È il giorno della resurrezione»


TRIESTE - La Procura della Repubblica di Trieste ha chiesto l'archiviazione del procedimento contro l'ingegnere Elvo Zornitta, indagato nell'inchiesta su Unabomber, il misterioso bombarolo che da 13 anni semina ordigni esplosivi nel Nordest. La richiesta - di cui riferisce il Gazzettino - è stata fatta per mancanza di «elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio» e dovrà ora essere esaminata dal Gip dello stesso capoluogo giuliano.
LA VICENDA - Zornitta era indagato per le ipotesi di reato di lesioni personali gravissime e utilizzo di materiale esplosivo e si era trovato al centro di una complicata vicenda giudiziaria nella quale è indagato il perito balistico Ezio Zernar, in servizio nel Laboratorio Indagini Criminalistiche della Procura di Venezia. Nel processo in corso davanti al Tribunale di Venezia, Zernar è accusato di aver manipolato il lamierino trovato in un ordigno inesploso attribuito a Unabomber per costruire una prova a carico di Zornitta. Sull'ingegnere friulano, Polizia e Carabinieri indagano da circa sei anni. Tre anni fa Zornitta aveva ricevuto un avviso di garanzia e circa due anni fa era comparso davanti al Gip di Trieste nell'incidente probatorio che doveva accertare se un paio di forbici sequestrate in un suo capanno fossero le stesse che avevano tagliato il lamierino trovato nell'ordigno inesploso.
INCUBO - «Adesso spero davvero che l'incubo sia finito: è arrivato il giorno della resurrezione»: sono le prime parole dell'ingegnere Elvo Zornitta, interpellato dall'Ansa sulla decisione della Procura della Repubblica di Trieste di chiedere l'archiviazione dell'inchiesta nei suoi riguardi. Con la voce rotta dall'emozione, Zornitta ha detto: «Pensavo che questo giorno non arrivasse mai - ha aggiunto - e, tuttavia, anche in questo momento, continuo ad avere dubbi che sia tutto realmente finito».


da IlMessaggero.it del 17.01.2009

Unabomber, procura chiede archiviazione
per Zornitta: è il giorno della resurrezione


Il pg di Venezia: dopo 13 anni è una sconfitta per la giustizia
TRIESTE (17 gennaio) - La Procura della Repubblica di Trieste ha chiesto l'archiviazione del procedimento contro l'ingegnere Elvo Zornitta, indagato nell'inchiesta su Unabomber, il misterioso bombarolo che da 13 anni semina ordigni esplosivi nel Nordest. La richiesta - di cui riferisce oggi il Gazzettino - è stata fatta per mancanza di «elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio» e dovrà ora essere esaminata dal Gip dello stesso capoluogo giuliano.

Zornitta era indagato per le ipotesi di reato di lesioni personali gravissime e utilizzo di materiale esplosivo e si era trovato al centro di una complicata vicenda giudiziaria nella quale è indagato il perito balistico Ezio Zernar, in servizio nel Laboratorio Indagini Criminalistiche della Procura di Venezia.

Nel processo in corso davanti al Tribunale di Venezia, Zernar è accusato di aver manipolato il lamierino trovato in un ordigno inesploso attribuito a Unabomber per costruire una prova a carico di Zornitta. Sull'ingegnere friulano, polizia e carabinieri indagano da circa sei anni. Tre anni fa Zornitta aveva ricevuto un avviso di garanzia e circa due anni fa era comparso davanti al gip di Trieste nell'incidente probatorio che doveva accertare se un paio di forbici sequestrate in un suo capanno fossero le stesse che avevano tagliato il lamierino trovato nell'ordigno inesploso. Proprio durante l'incidente probatorio emerse l'ipotesi che il lamierino fosse stato manomesso da Zernar.

«Adesso spero davvero che l'incubo sia finito: è arrivato il giorno della resurrezione»: sono le prime parole dell'ingegnere Elvo Zornitta. Zornitta non ha nascosto «sorpresa e gioia smisurata. Ero ancora a letto e mi sono alzato di corsa per rispondere al telefono. Ora corro da mia moglie e le annuncio la novità. Questa Š una giornata storica per tutta la mia famiglia, che ha subito assieme a me il peggiore dei drammi. Ora potremo girare per le nostre città e nessuno ci guarderà più con sospetto. Cammineremo tutti a testa alta, come abbiamo sempre fatto in questi anni». «A questo punto - ha sottolineato - mancano solo due tasselli prima che il mosaico sia finito: la decisione del Gip e la fine del processo sul lamierino. Quel giorno la vicenda giudiziaria sarà veramente conclusa. Di questa storia preferisco non parlare. I miei avvocati hanno formulato le nostre richieste di risarcimento, ma voglio ricordare che nessuna cifra potrà restituirci la serenità che ci è stata tolta in questi anni. Sono stati periodi drammatici, in cui hanno fatto capolino anche pensieri cupi e drammatici. Ero stato condannato prima ancora che la vicenda arrivasse in Tribunale. Qualcuno dovrà pagare per questo».

Maurizio Paniz, difensore di Elvo Zornitta, dice di non essere stupito della richiesta di archiviazione in quanto su Zornitta c'erano solo sospetti. «Visionando totalmente gli atti ho potuto preparare una memoria difensiva molto articolata nella quale ho esaminato punto per punto i possibili, per la verità soltanto teorici, indizi. In realtà - aggiunge Paniz - non vi erano indizi, ma solo sospetti, prospettazione di possibilità di comportanti e, in alcuni casi, vi era l'assoluta e matematica prova del non coinvolgimento dell'ingegner Zornitta».

Il pg: una sconfitta Il Procuratore generale di Venezia Ennio Fortuna condivide la richiesta di archiviazione, ma il fatto che in 13 anni non si sia arrivati a smascherare Unabomber è «una sconfitta per la giustizia». «È una di quelle decisioni frutto di valutazioni complesse - ha dichiarato il magistrato - Ci sono indizi a favore, ma, secondo me, anche abbastanza insufficienti per determinare la condanna o anche il rinvio a giudizio, quindi sostanzialmente sono d'accordo».


da LaRepubblica.it del 17.01.2009
La Procura chiede l'archiviazione dell'unico indagato per 13 anni di terrore
Il Pg: "Non aver smascherato il vero responsabile è una sconfitta per la giustizia"
Unabomber, Zornitta scagionato
"E' il giorno della resurrezione"

TRIESTE - "Adesso spero davvero che l'incubo sia finito: è arrivato il giorno della resurrezione": sono le prime parole dell'ingegnere Elvo Zornitta sulla decisione della Procura della Repubblica di Trieste di chiedere la sua archiviazione nell'inchiesta Unabomber.

Con la voce palesemente rotta dall'emozione, Zornitta ha confessato di "non sapere cosa dire. Pensavo che questo giorno non arrivasse mai e invece sembra davvero che la mia resurrezione sia finalmente arrivata. Ora chiederò un risarcimento, anche se nessun compenso materiale potrà risarcire me e, soprattutto, la mia famiglia per quello che ho sofferto in tutti questi anni di indagini". E a Unabomber, l'ingegner Zornitta lancia una maledizione: "Gli auguro di morire. Senza tanti giri di parole, spero che termini i suoi giorni in una maniera che non possa più arrecare male a nessuno".

Si avvicina dunque il giorno in cui l'unico indiziato nell'inchiesta Unabomber uscirà di scena: "Una decisione logica" ha detto il procuratore capo di Venezia Vittorio Borraccetti. Ma "è una sconfitta per la giustizia ", ha aggiunto il procuratore generale Ennio Fortuna. "Il fatto che in 13 anni non si sia arrivati a smascherare Unabomber non è altro che una sconfitta".

Mancano ancora due tasselli prima che "l'incubo" di Zornitta sia davvero finito: la decisione del Gip sulla proposta di archiviazione avanzata dalla Procura, e la fine del processo sul lamierino per cui è indiziato un perito accusato di aver manomesso la prova. Resterà però il mistero sulla vera identità di Unabomber che più di un decennio di indagini, la mobilitazione di una squadra di investigatori e la collaborazione di due procure - Venezia e Trieste - non sono risuciti a svelare.



Da LaStampa.it del 17.01.2009 ore 9.44

Unabomber, la procura chiede
l'archiviazione per Elvo Zornitta


Lui: «È il giorno della resurrezione»
TRIESTE
La Procura della Repubblica di Trieste ha chiesto l’archiviazione del procedimento contro l’ingegnere Elvo Zornitta, indagato nell’inchiesta su Unabomber, il misterioso bombarolo che da 13 anni semina ordigni esplosivi nel Nordest. La richiesta - di cui riferisce oggi il Gazzettino - è stata fatta per mancanza di «elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio» e dovrà ora essere esaminata dal Gip dello stesso capoluogo giuliano. Zornitta era indagato per le ipotesi di reato di lesioni personali gravissime e utilizzo di materiale esplosivo e si era trovato al centro di una complicata vicenda giudiziaria nella quale è indagato il perito balistico Ezio Zernar, in servizio nel Laboratorio Indagini Criminalistiche della Procura di Venezia. Nel processo in corso davanti al Tribunale di Venezia, Zernar è accusato di aver manipolato il lamierino trovato in un ordigno inesploso attribuito a Unabomber per costruire una prova a carico di Zornitta. Sull’ingegnere friulano, Polizia e Carabinieri indagano da circa sei anni. Tre anni fa Zornitta aveva ricevuto un avviso di garanzia e circa due anni fa era comparso davanti al Gip di Trieste nell’incidente probatorio che doveva accertare se un paio di forbici sequestrate in un suo capanno fossero le stesse che avevano tagliato il lamierino trovato nell’ordigno inesploso. Proprio durante l’incidente probatorio emerse l’ipotesi che il lamierino fosse stato manomesso da Zernar.

Zornitta non ha nascosto sorpresa e gioia smisurata. «Ero ancora a letto e mi sono alzato di corsa per rispondere al telefono. Ora corro da mia moglie e le annuncio la novità. Questa è una giornata storica per tutta la mia famiglia, che ha subito assieme a me il peggiore dei drammi. Ora potremo girare per le nostre città e nessuno ci guarderà più con sospetto. Cammineremo tutti a testa alta, come abbiamo sempre fatto in questi anni». «A questo punto - ha sottolineato - mancano solo due tasselli prima che il mosaico sia finito: la decisione del Gip e la fine del processo sul lamierino. Quel giorno la vicenda giudiziaria sarà veramente conclusa. Di questa storia preferisco non parlare. I miei avvocati hanno formulato le nostre richieste di risarcimento, ma voglio ricordare che nessuna cifra potrà restituirci la serenità che ci è stata tolta in questi anni. Sono stati periodi drammatici, in cui hanno fatto capolino anche pensieri cupi e drammatici. Ero stato condannato prima ancora che la vicenda arrivasse in Tribunale. Qualcuno dovrà pagare per questo».

Zornitta ha detto di essere preoccupato per una probabile ripresa dell’attività di Unabomber. «Il vigliacco dinamitardo - ha detto - non colpirà fino a che ci sarà un indagato sulla graticola. L’aveva fatto anche quando nel mirino era finito un professore carnico. Ora invece temo che tornerà a colpire. Ho studiato tanto il profilo di quell’uomo che mi ha rovinato la vita e le pause nel disseminare i suoi ordigni sono coincise con la fase acuta delle indagini a carico di questo o quell’ indiziato. La mia speranza è che quell’uomo indemoniato non sia più in grado di colpire. Non è un mistero che cosa gli ho augurato: può anche darsi che la vita abbia riservato anche a lui problemi e malattie che lo abbiano reso inoffensivo».

«Per quanto mi riguarda - ha riferito Zornitta - è giunta l’ora di prenderci tutti assieme qualche giorno di ferie: le abbiamo attese tanto tempo e adesso nulla ci fermerà. Purtroppo la crisi economica non ha risparmiato la mia professione e in questo periodo sono in cassa integrazione. Le prospettive non sono rosee: mi dispiace molto, sopratutto per i miei titolari, che sono state tra le poche persone che in questi anni hanno creduto in me e mi hanno concesso un’opportunità, mentre tanti mi guardavano con sospetto o con compassione. In ogni caso questa vicenda mi ha rovinato anche professionalmente: quando è cominciata ero nel pieno della mia carriera e oggi invece ho un lavoro precario e mille pensieri sul futuro». «Penso - ha concluso Zornitta - che a questo punto mi aspetti aspetti un nuovo tour de force televisivo, ma questa volta mi sottoporrò a questo rito con grande gioia. Voglio incontrare anche Enrico Mentana, che a Matrix mi guardò negli occhi e mi sfidò a dire la verità: l’ho fatto e ne sono fiero. Ho affrontato la cosiddetta gogna mediatica, nonostante sia una persona schiva e riservata, perchè avevo bisogno di far sapere al mondo la mia estraneità, la mia innocenza. Adesso lo farò, se mi chiameranno. Forse adesso gli inviti si faranno attendere, in quanto ormai non faccio più notizia, ma andrò per togliermi la soddisfazione di guardare dritto nel teleschermo, ringraziando chi ha creduto in me».

Liceale accoltellato a Roma: arrestato un ventenne

La violenza dei giovani sui loro coetani scatta per futili motivi, sempre più furiosa, sempre più senza un significato apparente, se non quello di affermare il proprio potere con il sostegno di un gruppo/branco su un unico pari indifeso, spalmando responsabilità e vana sensazione di vittoria. La violenza non costruisce se non altra violenza e se non si spezza la spirale che la alimenta, fatta di ritorsioni, vendette, si autoperpetua, generando soltanto dolore, traumi difficili da superare, esistenze segnate nel profondo per la stupida volontà di affermazione di ragazzi ancora carenti in valori morali e civiltà.


Dall'agenzia Ansa.it del 17.01.2009 ore 11.38

FERITO IN LICEO A ROMA: UN ARRESTO
In manette un ventenne e denunciati sei minorenni
(ANSA) - ROMA, 17 GEN - Per il ferimento dello studente di 17 anni, ieri nel liceo romano Aristotele, la polizia ha arrestato un ventenne e denunciato sei minorenni. Il ragazzo finito in carcere, al termine di un lungo interrogatorio terminato la notte scorsa, e' ritenuto responsabile del ferimento del liceale. Gli altri 6 giovani, di cui 3 studenti dell'istituto Aristotele, sono stati denunciati per rissa aggravata. La polizia ha accertato che si e' trattato di una lite nata per un 'sguardo di troppo'


Dal Corrieredellasera.it del 17.01.2009
LA VITTIMA È STATA ACCOLTELLATA DAVANTI AL LICEO ARISTOTELE
Aggressione allo studente a Roma
Arrestato un 20enne
Altri sei minorenni sono stati denunciati. Recuperati anche un tirapugni, una spranga di ferro e un coltello

ROMA - Gli agenti della Squadra mobile della questura di Roma hanno ricostruito i particolari dell'aggressione avvenuta davanti al liceo Aristotele di Roma e hanno arrestato un 20enne e denunciato altri sei minorenni. La lite, iniziata alla fermata dell'autobus sembra per un semplice sguardo di troppo, è poi sfociata in un vero e proprio agguato all'uscita di scuola, finito con l'accoltellamento dello studente di origini albanese, che aveva tentato di sedare la rissa e di aiutare un amico preso di mira dai teppisti.
RECUPERATE ANCHE LE ARMI - La Polizia di Stato ha ricostruito tutte le fasi dell'aggressione ed ha recuperato anche le armi, un tirapugni, una spranga di ferro, un coltello e la replica di una pistola semiautomatica. Dopo l'aggressione i giovani hanno tentato di disfarsi delle armi e dei vestiti sporchi di sangue ricorrendo all'aiuto di amici e giovani fidanzate.


da LaRepubblica.it del 17.01.2009

Tutto sarebbe iniziato in mattinata alla fermata del bus
Poi è scattata la spedizione punitiva all'interno della scuola

Roma, lite e coltellate al liceo
Arrestato un ventenne

ROMA - Un ventenne è stato arrestato e sei minorenni sono stati denunciati per la lite, avvenuta ieri nel cortile del liceo scientifico Aristotele all'Eur, a Roma, sfociata nel ferimento a colpi di coltello di un 17enne, di origini albanesi. Il giovane è stato operato e non sarebbe in pericolo di vita, anche se la prognosi resta riservata. La lite, iniziata alla fermata dell'autobus per uno sguardo, è poi sfociata in un vero e proprio agguato all'uscita di scuola. Gli investigatori hanno recuperato anche delle armi: un tirapugni, una spranga di ferro, un coltello e la replica di una pistola semiautomatica.

Secondo la ricostruzione fornita oggi in questura tutto comincia con un diverbio tra due minorenni: uno studente del liceo Aristotele e un residente del Laurentino 38. Il minore del Laurentino 38 probabilmente dice allo studente dell'Aristotele "t'aspetto fuori". Avvisa il fratello maggiorenne (l'aggressore arrestato: R.I. classe 1988, residente del Laurentino 38) e due amici minorenni. Il gruppo formato da tre minorenni, armato di spranga e tirapugni, si dirige verso il liceo Aristotele, aspetta il minore protagonista del diverbio alla fermata dell'autobus e lo picchia a calci e pugni. Lo studente fugge all'interno della scuola e viene inseguito. A quel punto, il ragazzo albanese interviene buttandosi nella mischia e scatta la rissa nel cortile del liceo.

Osservando la scena, il ragazzo maggiorenne, che fino ad allora era rimasto in macchina ad aspettare il fratelli e i due amici, si unisce alla rissa e da' due coltellate al ragazzo albanese. "Ora hai assaggiato la lama sulla schiena, la prossima volta te la faccio assaggiare sulla gola", avrebbe detto R.I. secondo la ricostruzione degli inquirenti.

Non pago, il maggiorenne torna in macchina, prende una pistola e comincia a brandirla in aria dicendo "vi ammazzo a tutti" e iniettando il panico tra gli studenti del liceo Aristotele. Poi i 4 ragazzi del Laurentino 38 si danno alla fuga a bordo di una Fiat Punto rossa.


da LaStampa.it del 17.01.2009 ore 10.16

Roma, lite al liceo Aristotele
Arrestato un ventenne

Il giovane è stato operato e non sarebbe in pericolo di vita, anche se la prognosi resta riservata.
ROMA
Un ventenne è stato arrestato e sei minorenni sono stati denunciati per la lite, avvenuta ieri nel cortile del liceo scientifico Aristotele all’Eur, a Roma, sfociata nel ferimento a colpi di coltello di un 17enne, di origini albanesi. Il giovane è stato operato e non sarebbe in pericolo di vita, anche se la prognosi resta riservata. Gli agenti della squadra mobile della questura di Roma e del commissariato Esposizione hanno ricostruito tutti i particolari dell'aggressione.

«Che guardi a fare? Ci vediamo dopo, te la faccio pagare». Uno sguardo di troppo alla fermata dell’autobus è stata la scintilla che ha scatenato la violenza tra alcuni giovani ieri nel cortile di un liceo a Roma sfociata nell’accoltellamento di un ragazzo albanese di 17 anni. Gli uomini della squadra mobile di Roma, diretti da Vittorio Rizzi, con la collaborazione del commissariato Esposizione, hanno chiuso il cerchio su quanto avvenuto ieri mattina nel cortile del liceo scientifico Aristotele, nel quartiere Eur. La Polizia di Stato ha ricostruito tutte le fasi dell'aggressione ed ha recuperato anche le armi usate dai giovani: un tirapugni, una spranga di ferro, un coltello e la replica di una pistola semiautomatica. Dopo l'aggressione i ragazzi hanno tentato di disfarsi delle armi e dei vestiti sporchi di sangue ricorrendo all'aiuto di amici e delle fidanzate. In seguito agli interrogatori avvenuti nella notte, in cui sono state ascoltate venti persone tra le quali anche studenti e docenti del liceo, gli agenti hanno arrestato un ragazzo di venti anni per tentato omicidio. Sei i denunciati per concorso in rissa aggravata, tutti di età compresa tra i 14 e i 17 anni. Nessuno di loro ha precedenti penali.

martedì 13 gennaio 2009

Rignano Flaminio: indagini chiuse verso il rinvio a giudizio/2

Oggi tutte le maggiori testate online riportano la notizia della chiusura ufficiale delle indagini da parte della Procura di Tivoli e l'invio delle notifiche di rinvio a giudizio per alcuni indagati e di archiviazioni per altri indagati, come già preannunciato qualche giorno fa. Il fatto interessante è lo spazio, molto ampio, dato alle motivazioni del PM con dovizia di particolari raccapriccianti che, in questa fase processuale, non sono utili alla ricerca e alla valutazione del reale svolgimento dei fatti. Ricordiamo che questa indagine ha destato non pochi dubbi anche negli organi competenti e superiori in grado.
Per questo motivo ritengo utile riportare integralmente tutte le fonti sulla notizia che mi è stato possibile rintracciare sulle varie testate online e agenzia di stampa perchè sia più agevole per il lettore, stabilre le differenze, le somiglianze, le informazioni aggiuntive e le costanze in una vicenda che ancora deve esssere chiarita da più punti di vista. Forse risulterà noioso, ma cognitivamente è un utile esercizio di attenzione selettiva e di focalizzazione su elementi rilevanti.


da IlGiornale.it del 13.01.2009

Rignano, il pm: "Bambini seviziati e minacciati"
di Redazione
Roma - Tre maestre, Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e Marisa Pucci, e l’autore tv Gianfranco Scancarello, marito di Del Meglio, rischiano di finire sotto processo, a Tivoli, per i presunti abusi sessuali ai danni di 21 bambini della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio. È quanto emerge dall’avviso di chiusura indagine notificata oggi ai difensori degli indagati. Chiesta l’archiviazione per la maestra Assunta Pisani, la bidella Cristina Lunerti e il benzinaio cingalese Kelum Weramuni Da Silva.

Il capo di imputazione Sono vari i comportamenti elencati dal pm della procura di Tivoli, Marco Mansi, nell’avviso di conclusione delle indagini, passo che solitamente prelude a una richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti delle tre maestre della scuola materna dell’istituto "Olga Rovere" di Rignano Flaminio, Patrizia Del Meglio, Marisa Pucci e Silvana Magalotti e del marito della prima, l’autore tv Gianfranco Scancarello. Episodi che sarebbero stati commessi nel corso dell’anno scolastico 2005-2006 e, soltanto per una minore, durante l’anno scolastico 2001-2002.

Torture sessuali "Li conducevano - si legge nel capo d’imputazione - in orario scolastico, in gruppo o singolarmente, con uso di vetture quali quella in uso a Marisa Pucci (una "Fiat 500" o tipo pulmino-furgone), sottraendoli e ritenendoli contro la volontà espressa o tacita dei rispettivi genitori, e, privandoli indebitamente della libertà personale, in abitazioni private, nel bagno o in un’aula o in un punto riparato sottostante la scuola materna frequentata dai minori, ovvero in altri luoghi non identificati. Quindi li facevano assistere e/o partecipare attivamente ad atti a sfondo sessuale (in particolare, toccamenti, percosse reciproche, sodomizzazioni, masturbazioni, penetrazioni) tra loro e altri soggetti non identificati".

Minacce di morte "Li inducevano - anche con l’uso della violenza o minacce di danni fisici o di morte anche ai rispettivi genitori - a praticare reciprocamente su loro stessi atti di esplicita natura sessuale anche con l’uso di strumenti (vibratore, penna, pezzi di vetro, e altro non precisato) con l’inserimento di questi strumenti nei genitali femminili delle bambine e con uso lesivo degli stessi strumenti in danno dei minori di sesso maschile".

Giochi sessuali "Li sottoponevano, inoltre, a giochi a sfondo sessuale tra loro o con essi indagati, in particolare denominati, secondo quanto riferito dalle giovani vittime, "il gioco della puntura" e "il gioco del pisello", nel corso dei quali i bambini subivano penetrazione o dovevano toccare i genitali e altre zone erogene degli adulti, commettendo gli atti di violenza sessuale in gruppo o comunque essendo tutti o alcuni riuniti nel medesimo posto".

Cappucci, siringhe e diavoli "Li sottoponevano, infine, nello stesso contesto, senza motivo, a maltrattamenti e percosse, in quanto, sistematicamente con carattere di abitudinarietà, li legavano dopo averli spogliati, praticavano sui medesimi, con uso di siringhe, prelievi di sangue o inoculazione di sostenze varie quali narcotici, stupefacenti o altre lesive della salute delle persone, alcune contenenti benzodiazepine, e li terrorizzavano o li traumatizzavano, vestendosi da diavolo o coniglio nero o altro ancora con uso di cappucci e mostrandosi ai medesimi completamente o parzialmente nudi".

da IlMessaggero.it del 13.01.2009

Rignano, chiuse le indagini: quattro
verso il giudizio per abusi sui bambini

Si tratta di tre maestre e dell'autore tv.
L'accusa del pm: i minori venivano sottoposti a violenza sessuale e a sevizie


ROMA (13 gennaio) - Tre maestre, Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e Marisa Pucci, e l'autore tv Gianfranco Scancarello, marito di Del Meglio, rischiano di finire sotto processo, a Tivoli, per i presunti abusi sessuali ai danni di 21 bambini della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio.

È quanto emerge dall'avviso di chiusura indagine notificata oggi ai difensori degli indagati. Chiesta l'archiviazione per la maestra Assunta Pisani, la bidella Cristina Lunerti e il benzinaio cingalese Kelum Weramuni Da Silva. Pesanti i reati contestati dal pm Marco Mansi ai quattro indagati: atti osceni, maltrattamenti verso minori, sottrazione di persona incapace, sequestro di persona, violenza sessuale aggravata dalla minore età delle vittime, corruzione di minori, atti contrari alla pubblica decenza. Gli indagati hanno sempre respinto le accuse. Alla luce della notifica dell'avviso di chiusura indagine, per gli indagati si prospetta la richiesta di rinvio a giudizio. I difensori dei quattro hanno ora 20 giorni di tempo per chiedere l'audizione dei loro assistiti o per depositare note e memorie. L'inchiesta giudiziaria, partita sulla base di alcune denunce dei genitori di bambini, prende in esame fatti cominciati nel 2001, per una bambina, e proseguiti per gli altri 20 alunni tra il 2005 ed il 2006.

Le accuse. Il Pm scrive che, affidati alle maestre Silvana Magalotti, Patrizia Del Meglio e Marisa Pucci «per ragioni di istruzione», gli indagati sottoponevano i bambini «ad atti di sevizie e crudelta». Secondo il magistrato i reati, oltre che dalle maestre e dell'autore televisivo Gianfranco Scancarello, sarebbero stati commessi in concorso con «soggetti non identificati in numero di cinque o più». Alle maestre, inoltre, viene contestata l'aggravante dell' abuso di autorità o relazione domestica o di ufficio «derivante dal fatto di essere in servizio appunto come maestre alla Rovere» e inoltre si contesta loro l'abuso del rapporto di custodia in relazione ai 21 bambini (di età all'epoca dei fatti dai tre ai cinque anni).

Minacce di morte per i genitori o di danni fisici e uso della violenza per indurre i bambini «a praticare reciprocamente su loro stessi atti di esplicita natura sessuale anche con l'uso di strumenti, con l'inserimento di suddetti strumenti nei genitali femminili delle bambine e uso lesivo dei suddetti strumenti in danno dei minori di sesso maschile». Secondo il pm i quattro facevano assistere i bambini «o partecipare attivamente ad atti a sfondo sessuale in particolare toccamenti, percosse reciproche, sodomizzazioni, masturbazioni, penetrazioni, tra loro e altri soggetti non identificati». Sempre secondo la procura i bambini venivano sottoposti «a giochi a sfondo sessuale tra loro o con gli stessi indagati, denominati, secondo quanto riferito dalle giovani vittime, il gioco della puntura, il gioco del pisello, nel corso dei quali i bambini subivano penetrazioni o dovevano toccare i genitali degli adulti e altre zone erogene, commettendo (gli indagati) atti di violenza sessuale in gruppo e comunque i bambini riuniti nel medesimo posto».

Le parti civili: ipotesi supportata. «Dopo due anni di indagine la procura di Tivoli dimostra una determinazione che può essere solo frutto di una ipotesi accusatoria validamente supportata dalle indagini». È quanto sostengono gli avvocati Antonio Cardamone e Franco Merlino che difendono cinque famiglie di bimbi alunni della scuola materna «Olga Rovere» di Rignano Flaminio, presunti vittime di abusi sessuali. «Adesso pensiamo a tutelare e proteggere i bambini - aggiungono Cardamome e Merlino - molti dei quali sono ancora sottoposti a cure psicologiche per i traumi evindentemente subiti».

La difesa: fatti già smentiti. «Siamo sorpresi perchè vengono riproposte contestazioni già smentite». Così l'avvocato Roberto Borgogno, difensore di Patrizia Del Meglio e di Gianfranco Scancarello, insieme con l'avvocato Franco Coppi, commenta la chiusura indagini della procura di Tivoli sui presunti abusi sessuali a Rignano Flaminio. «Si tratta di fatti - ha aggiunto - che sono stati già ritenuti infondati dal tribunale del riesame di Roma, dalla Cassazione e che non hanno trovato riscontro neanche nelle dichiarazioni fatte dai bambini in sede di incidente probatorio». «Ce lo aspettavamo», ha dichiarato Ippolita Naso, legale di Silvana Magalotti, l'esito dell'indagine della procura di Tivoli «era scontato».

«Si tratta - ha detto l'avvocato Giosuè Bruno Naso, legale anche lui della Magalotti - di una ostinata difesa dell'errore iniziale fatto dalla procura. Non c'è stato un minimo di onestà intellettuale per cercare di riconoscere e correggere questo errore. Una inchiesta, inoltre, fatta con grande dispiego di mezzi e energie e nella quale non si è tenuto conto ad esempio dell'esito delle analisi del Ris che non hanno trovato nulla sia nelle macchine, sia nelle abitazioni. E nel capo di imputazione si parla ancora di macchine e abitazioni».

da LaRepubblica.it del 13.01.2009


Per tre maestre e un autore tv potrebbe scattare il rinvio a giudizio

Disposta l'archiviazione per le altre tre persone coinvolte nell'inchiesta
Rignano, quattro rischiano il processo
Il pm: "Sevizie e minacce, anche ai genitori"
L'accusa: "Narcotici e violenze per costringerli a giochi erotici". I difensori: "Fatti già smentiti da Riesame e Cassazione"



ROMA - Si va verso il processo per la vicenda degli abusi sessuali ai danni di 21 bambini della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio. Oggi la Procura di Tivoli ha notificato la chiusura delle indagini, e si profila una richiesta di rinvio a giudizio per quattro persone coinvolte nelle indagini mentre per altre tre è stata disposta l'archiviazione. E dalla deposizione del pm emergono particolari agghiaccianti.

A rischiare di finire in aula sono le tre maestre, Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e Marisa Pucci, e l'autore tv Gianfranco Scancarello, marito di Del Meglio, ai cui avvocati è giunta la notifica. Archiviata invece ogni ipotesi di reato per la maestra Assunta Pisani, la bidella Cristina Lunerti e il benzinaio cingalese Kelum Weramuni Da Silva. La decisione spetta comunque al giudice, che dovrà esprimersi nelle prossime ore. Pesanti i reati contestati dal pm Marco Mansi ai quattro indagati: atti osceni, maltrattamenti verso minori, sottrazione di persona incapace, sequestro di persona, violenza sessuale aggravata dalla minore età delle vittime, corruzione di minori, atti contrari alla pubblica decenza.

Le sevizie. I bambini erano sottoposti "ad atti di sevizie e crudeltà", scrive il pm. Anche con l'uso di siringhe, prelievi di sangue o inoculazione di sostanze come narcotici, stupefacenti e altre contenenti Benzodiazepine. Sempre secondo l'accusa "li terrorizzavano o li traumatizzavano, vestendosi da diavolo o coniglio nero o altro ancora con uso di cappucci e mostrandosi ai medesimi completamente o parzialmente nudi".

Le minacce, anche ai genitori. Gli indagati, assieme ai quali erano presenti "soggetti non identificati in numero di cinque o più", minacciavano gli alunni "con l'uso della violenza o minacce di morte rivolte anche ai rispettivi genitori", sostiene il pm, per indurli "a praticare atti di esplicita natura sessuale anche con l'uso di strumenti (vibratore, penna, pezzi di vetro, e altro non precisato) con l'inserimento di questi strumenti nei genitali femminili delle bambine e con uso lesivo degli stessi strumenti in danno dei minori di sesso maschile". I minori inoltre venivano sottoposti, si legge nell'accusa, a giochi a sfondo sessuale, quali 'il gioco della puntura' e 'il gioco del pisello'.


Un'inchiesta lunga e controversa. L'inchiesta giudiziaria, partita sulla base di alcune denunce dei genitori di bambini, prende in esame fatti cominciati nel 2001, per una bambina, e proseguiti per gli altri 20 alunni tra il 2005 ed il 2006. Con un iter a dir poco frastagliato, si chiudono così una delle indagini tra le più controverse degli ultimi tempi. Dopo una fase di stallo, l'inchiesta ha ripreso una nuova spinta con il ritrovamento, a giudizio del pm, del casale dove sarebbero stati perpetrati gli abusi.

La difesa: "Proposti fatti già smentiti". Gli indagati hanno sempre respinto le accuse e i loro difensori, che hanno ora 20 giorni di tempo per chiedere l'audizione dei loro assistiti o per depositare note e memorie, sostengono che i fatti proposti dall'accusa sono già stati smentiti. "Si tratta di fatti - ha affermato Roberto Borgogno, difensore di Patrizia Del Meglio e di Gianfranco Scancarello - che sono stati già ritenuti infondati dal tribunale del Riesame di Roma, dalla Cassazione e che non hanno trovato riscontro neanche nelle dichiarazioni fatte dai bambini". "E' un'ostinata difesa dell'errore iniziale fatto dalla procura - ha detto l'avvocato Giosuè Bruno Naso, legale di Silvana Magalotti. "Un'inchiesta - ha aggiunto - fatta con grande dispiego di mezzi e nella quale non si è tenuto conto ad esempio dell'esito delle analisi del Ris che non hanno trovato nulla sia nelle macchine, sia nelle abitazioni".

Rignano Flaminio: indagini chiuse, verso il rinvio a giudizio

Prosegue la rassegna stampa dalle principali testate online


Dall'agenzia Ansa.it del 13.01.2009 ore 14.10

PEDOFILIA: RIGNANO, IN 4 RISCHIANO IL PROCESSO
ROMA - Tre maestre, Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e Marisa Pucci, e l'autore tv Gianfranco Scancarello, marito di Del Meglio, rischiano di finire sotto processo, a Tivoli, per i presunti abusi sessuali ai danni di 21 bambini della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio. E' quanto emerge dall'avviso di chiusura indagine notificata oggi ai difensori degli indagati. Chiesta

Pesanti i reati contestati dal pm Marco Mansi ai quattro indagati: atti osceni, maltrattamenti verso minori, sottrazione di persona incapace, sequestro di persona, violenza sessuale aggravata dalla minore età delle vittime, corruzione di minori, atti contrari alla pubblica decenza. Gli indagati hanno sempre respinto le accuse. Alla luce della notifica dell'avviso di chiusura indagine, per gli indagati si prospetta la richiesta di rinvio a giudizio.

I difensori dei quattro hanno ora 20 giorni di tempo per chiedere l'audizione dei loro assistiti o per depositare note e memorie. L'inchiesta giudiziaria, partita sulla base di alcune denunce dei genitori di bambini, prende in esame fatti cominciati nel 2001, per una bambina, e proseguiti per gli altri 20 alunni tra il 2005 ed il 2006.

PM, BIMBI SOTTOPOSTI A SEVIZIE E CRUDELTA'
Affidati alle maestre Silvana Magalotti, Patrizia Del Meglio e Marisa Pucci "per ragioni di istruzione", gli indagati sottoponevano i bambini "ad atti di sevizie e crudelta". E' quanto scrive il pm Marco Mansi nel capo di imputazione nei confronti degli indagati dell'inchiesta sui presunti abusi sessuali in danno di 21 bambini della scuola "Olga Rovere" di Rignano Flaminio. Secondo il magistrato i reati, oltre che dalle maestre e dell'autore televisivo Gianfranco Scancarello, sarebbero stati commessi in concorso con "soggetti non identificati in numero di cinque o più". Alle maestre, inoltre, viene contestata l'aggravante dell' abuso di autorità o relazione domestica o di ufficio "derivante dal fatto di essere in servizio appunto come maestre alla Rovere" e inoltre si contesta loro l'abuso del rapporto di custodia in relazione ai 21 bambini (di età all'epoca dei fatti dai tre ai cinque anni)

Bambini legati e spogliati - Nell'atto di chiusura indagine, firmato soltanto dal pm Marco Mansi e non dal procuratore di Tivoli Luigi De Ficchy, si parla bambini "maltrattati sottoposti a percosse, nonché legati dopo essere stati spogliati". Sugli stessi bambini, secondo il pm, venivano poi praticati "con l'uso di siringhe, prelievi di sangue o inoculazioni di sostanze varie quali narcotici, stupefacenti o altre lesive della salute delle persone alcune contenenti benzodiazepine e li terrorizzavano vestendosi da diavolo o coniglio nero o altro ancora, con l'uso di cappucci e mostrandosi con i medesimi completamente o parzialmente nudi".

Minacce di morte per giochi erotici - Minacce di morte per i genitori o di danni fisici e uso della violenza per indurre i bambini "a praticare reciprocamente su loro stessi atti di esplicita natura sessuale anche con l'uso di strumenti, con l'inserimento di suddetti strumenti nei genitali femminili delle bambine e uso lesivo dei suddetti strumenti in danno dei minori di sesso maschile". E' un altro dei punti del capo di imputazione del pm di Tivoli, Marco Mansi, nei confronti dei quattro indagati dei presunti abusi sessuali in danno di 21 bambini della scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio. Secondo il pm i quattro facevano assistere i bambini "o partecipare attivamente ad atti a sfondo sessuale in particolare toccamenti, percosse reciproche, sodomizzazioni, masturbazioni, penetrazioni, tra loro e altri soggetti non identificati". Sempre secondo la procura i bambini venivano sottoposti "a giochi a sfondo sessuale tra loro o con gli stessi indagati, denominati, secondo quanto riferito dalle giovani vittime, 'il gioco della puntura', 'il gioco del pisello', nel corso dei quali i bambini subivano penetrazioni o dovevano toccare i genitali degli adulti e altre zone erogene, commettendo (gli indagati) atti di violenza sessuale in gruppo e comunque i bambini riuniti nel medesimo posto".

DIFENSORI, RIPROPOSTI FATTI GIA' SMENTITI
"Siamo sorpresi perché vengono riproposte contestazioni già smentite". Così l'avvocato Roberto Borgogno, difensore di Patrizia Del Meglio e di Gianfranco Scancarello, insieme con l'avvocato Franco Coppi, commenta la chiusura indagini della procura di Tivoli sui presunti abusi sessuali a Rignano Flaminio. "Si tratta di fatti - ha aggiunto - che sono stati già ritenuti infondati dal tribunale del riesame di Roma, dalla Cassazione e che non hanno trovato riscontro neanche nelle dichiarazioni fatte dai bambini in sede di incidente probatorio". "Ce lo aspettavamo", ha dichiarato Ippolita Naso, legale di Silvana Magalotti, l'esito dell'indagine della procura di Tivoli "era scontato". "Si tratta - ha detto l'avvocato Giosué Bruno Naso, legale anche lui della Magalotti - di una ostinata difesa dell'errore iniziale fatto dalla procura. Non c'é stato un minimo di onestà intellettuale per cercare di riconoscere e correggere questo errore. Una inchiesta, inoltre, fatta con grande dispiego di mezzi e energie e nella quale non si è tenuto conto ad esempio dell'esito delle analisi del Ris che non hanno trovato nulla sia nelle macchine, sia nelle abitazioni. E nel capo di imputazione si parla ancora di macchine e abitazioni".

PARTI CIVILI, INDAGINI E ACCUSE VALIDE
"Dopo due anni di indagine la procura di Tivoli dimostra una determinazione che può essere solo frutto di una ipotesi accusatoria validamente supportata dalle indagini". E' quanto sostengono gli avvocati Antonio Cardamone e Franco Merlino che difendono cinque famiglie di bimbi alunni della scuola materna "Olga Rovere" di Rignano Flaminio, presunti vittime di abusi sessuali. "Adesso pensiamo a tutelare e proteggere i bambini - aggiungono Cardamome e Merlino - molti dei quali sono ancora sottoposti a cure psicologiche per i traumi evindentemente subiti".



dal Corrieredellasera.it del 13 01.2009
GLI AVVOCATI DELLA DIFESA: «RIPROPOSTI FATTI GIÀ SMENTITI»
Rignano, l'accusa del pm:
«Minacce ai bimbi e ai genitori»
Chiuse le indagini sui presunti abusi nella scuola materna: quattro verso la richiesta di rinvio a giudizio

(Emmevi)
ROMA - Li hanno presi e «privandoli della libertà personale» li hanno portati «in abitazioni private, nel bagno o in un'aula o in un punto riparato sottostante la scuola frequentata dai minori, ovvero in altri luoghi non identificati». Si sono serviti dell'utilitaria di Marisa Pucci ma anche di un «pulmino-furgone sottraendoli e ritenendoli contro la volontà espressa o tacita dei rispettivi genitori». È quanto scrive il pm, Marco Mansi, nel capo di imputazione nei confronti degli indagati dell'inchiesta sui presunti abusi sessuali ai danni di 21 bambini della scuola «Olga Rovere» di Rignano Flaminio. Gli indagati, oltre alla Pucci, sono le insegnanti Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e l'autore tv Gianfranco Scancarello. Per loro si va verso la richiesta di rinvio a giudizio. La Procura si prepara invece a chiedere l'archiviazione per un'altra insegnante, Assunta Pisani, per la bidella Cristina Lunerti e per l'immigrato cingalese Kelum Weramuni Da Silva.

LE ACCUSE - Secondo l'accusa i bambini sono stati indotti «con l'uso della violenza o minacce di danni fisici o di morte anche ai rispettivi genitori - a praticare reciprocamente su loro stessi atti di esplicita natura sessuale». «I bambini - scrive la procura - venivano sottoposti a giochi a sfondo sessuale tra loro o con gli stessi indagati, denominati, secondo quanto riferito dalle giovani vittime, 'il gioco della puntura', 'il gioco del pisello', nel corso dei quali i bambini subivano penetrazioni o dovevano toccare i genitali degli adulti e altre zone erogene, commettendo (gli indagati) atti di violenza sessuale in gruppo». Per il magistrato i reati, oltre che dalle maestre e dall'autore televisivo, sarebbero stati commessi in concorso con «soggetti non identificati in numero di cinque o più». Alle maestre, inoltre, viene contestata l'aggravante dell'abuso di autorità o relazione domestica o di ufficio «derivante dal fatto di essere in servizio appunto come maestre alla Rovere» e inoltre si contesta loro l'abuso del rapporto di custodia in relazione ai 21 bambini (che all'epoca dei fatti avevano dai tre ai cinque anni).

LA DIFESA - «Siamo sorpresi perché vengono riproposte contestazioni già smentite»: l'avvocato Roberto Borgogno, difensore di Patrizia Del Meglio e di Gianfranco Scancarello, insieme con l'avvocato Franco Coppi, commenta la chiusura indagini. «Si tratta di fatti - ha aggiunto - che sono stati già ritenuti infondati dal tribunale del Riesame di Roma, dalla Cassazione e che non hanno trovato riscontro neanche nelle dichiarazioni fatte dai bambini in sede di incidente probatorio». «Ce lo aspettavamo», ha dichiarato Ippolita Naso, legale di Silvana Magalotti, l'esito dell'indagine della procura di Tivoli «era scontato». «Si tratta - ha detto l'avvocato Giosuè Bruno Naso, legale anche lui della Magalotti - di una ostinata difesa dell'errore iniziale fatto dalla procura. Non c'è stato un minimo di onestà intellettuale per cercare di riconoscere e correggere questo errore. Una inchiesta, inoltre, fatta con grande dispiego di mezzi e energie e nella quale non si è tenuto conto ad esempio dell'esito delle analisi del Ris che non hanno trovato nulla sia nelle macchine, sia nelle abitazioni. E nel capo di imputazione si parla ancora di macchine e abitazioni».

IL CASO -In effetti su molti punti la ricostruzione del pm, un vero e proprio «viaggio nell'orrore», appare molto simile all'ordinanza di custodia cautelare del gip Elvira Tamburelli eseguita nell'aprile del 2007 e successivamente annullata dal tribunale del Riesame di Roma che dispose la liberazione degli indagati allora arrestati. Decisione, questa confermata, il 18 settembre successivo dalla Cassazione. «Allo stato delle investigazioni - si leggeva nelle motivazioni della decisione - è consentito rilevare che, se vi sono state violenze sessuali, esse sono state perpetrate con modalità differenti da quelle riferite nelle denunce». In pratica la Cassazione invitava gli inquirenti a seguire una pista diversa da quella in base alla quale i presunti abusi sarebbero avvenuti in ambito scolastico. Secondo la Cassazione, inoltre, i genitori dei bambini vittime dei presunti abusi avrebbero, in qualche modo, esercitato una certa influenza sui bambini. Nel corso delle indagini furono svolti anche due incidenti probatori: uno vide coinvolti i minori presunte vittime di abusi, uno riguardò i numerosi oggetti sequestrati. Il primo in particolare riguardò l'acquisizione delle dichiarazioni dei bambini, previa valutazione della loro idoneità a testimoniare.