sabato 8 novembre 2008

Non c'è pace per Chiara Poggi

Da La stampa.it del 8/11/2008 ore 7.55
Articolo di Claudio Bressani

"Chiara sapeva di quelle foto porno"

La nuova linea di difesa di Stasi: non c'è il movente

GARLASCO (Pavia)
Lasciate in pace la memoria di Chiara». Per la prima volta, dopo 15 mesi di dichiarazioni sempre molto misurate, Rita Preda sbotta. Era davanti alla tv, l’altra sera, ad assistere a «Iceberg», trasmissione in onda sull’emittente locale «Telelombardia» dedicata al caso di Garlasco. E ha ascoltato allibita le parole del professor Angelo Giarda, uno dei legali di Alberto Stasi, imputato di aver ucciso sua figlia, con la quale era fidanzato da quattro anni. Alla domanda di una giornalista circa il materiale pedofilo trovato nel computer del giovane, nel quale qualcuno intravede un possibile movente del delitto, Giarda ha risposto: «Da alcune testimonianze, che poi riprenderemo analiticamente, Chiara era consapevole dell’esistenza di questi prodotti, chiamiamoli pornografici, e non credo che questo fosse un problema».

«Chiara non ne sapeva nulla - ribatte la madre - e, se l’avesse saputo, ne sarebbe rimasta disgustata. Siamo molto amareggiati, il professor Giarda non doveva uscire con quelle dichiarazioni. Sono insinuazioni di basso profilo che offendono una ragazza morta, verso la quale bisognerebbe avere almeno un minimo di rispetto. Anche perché l’inchiesta ha scavato a fondo nella vita di Chiara, hanno controllato i suoi computer e tutte le sue telefonate, e non è uscito niente di niente. Lei era una ragazza pulita, limpida, non aveva segreti né nulla di cui vergognarsi. Sono rimasta molto sorpresa che quelle parole siano arrivate proprio dal professor Giarda, che mi era sempre sembrato un professionista serio e corretto. Capisco che deve fare il suo mestiere di avvocato difensore, ma non infanghi la memoria di mia figlia».

Anche la reazione dell’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale dei Poggi, non si è fatta attendere: «Premesso di non aver visto la trasmissione - dice - ho chiesto all’emittente copia del programma andato in onda giovedì sera al fine di valutare quali iniziative intraprendere, nelle opportune sedi, per tutelare la onorabilità di Chiara». «Questi prodotti», come li ha definiti in trasmissione il professor Giarda, non sono solo i film e le immagini pornografiche, presenti nel computer di Alberto a migliaia come sicuramente in quelli di tanti altri ragazzi della sua età. Sono anche alcune decine di fotogrammi tratti da sette video in cui sono riprese bambine di 5-6 anni costrette a compiere atti sessuali con adulti. A quelli si riferiva chiaramente la domanda dell’intervistatrice.
Sono oggetto di un separato procedimento penale per i reati di detenzione e divulgazione di materiale pedopornigrafico, ma sono stati anche inseriti agli atti del fascicolo per l’omicidio perché potrebbero costituirne il movente. L’ipotesi è che Chiara ad un certo punto li abbia scoperti e abbia reagito con la decisione di troncare la relazione con Alberto e magari anche di rivelare tutto ai suoi genitori, scatenando la furia omicida del giovane la mattina del 13 agosto dello scorso anno. Inizialmente la difesa aveva negato l’esistenza di materiale pedofilo nel computer di Alberto. Un consulente informatico di parte, il dottor Enrico Cerati, in una relazione tecnica depositata a febbraio aveva sostenuto di non averne trovato traccia.

Gli hanno risposto i carabinieri del Ris di Parma, spiegando dettagliatamente in una loro contro-relazione come e dove reperirli nelle pieghe della memoria del portatile Compaq e degli accessori (un disco rigido esterno e una chiavetta usb) sequestrati al giovane. Al massimo, aveva concesso il professr Giarda mesi fa in un’intervista, si tratterà di qualche immagine nella quale Alberto si era imbattuto per caso navigando in Internet, di cui «si ricorda vagamente» e che comunque aveva visto in modo fugace, «non con morbosità, come fa Fantozzi quando vede una donna nuda, per intenderci». Ora la linea è cambiata: sì, «questi prodotti» nel computer c’erano, e lo sapeva perfettamente anche Chiara, che però non ne faceva un problema. Un modo per cercare di «smontare» un possibile movente che i famigliari di Chiara non sono disposti ad accettare

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