giovedì 12 marzo 2009

Stupro Caffarella e test del Dna: quando i risultati non sono quelli attesi


Da LaRepubblica.it Cronaca 12.03.09

Il retroscena. Le tracce analizzate sono di un egiziano
con cui la donna ebbe un rapporto sessuale la mattina
Stupro Primavalle, un altro mistero
il Dna sulla vittima non è di RaczLa sera, dopo l'agguato, si è lavata come ha potuto con acqua minerale

di CARLO BONINI

ROMA - Di come stiano le cose sembrano consapevoli tutti. E forse per questo tutti ne parlano malvolentieri. Lo si può dire in due parole: se l'inchiesta della Caffarella ha conosciuto un calvario, quella di Primavalle non promette nulla di meglio. Con una posta in gioco che, per altro, è cresciuta. Perché se Karol Racz non fosse lo stupratore della notte del 21 gennaio in via Andersen, la sua uscita dal carcere non dovrebbe attendere un minuto di più e anche la sua presenza, tre settimane dopo, sulla scena del crimine nel Parco della Caffarella perderebbe, a dispetto delle testimonianze, parte della sua plausibilità.

Se lo si chiede a Lorenzo La Marca, l'avvocato di Racz, la risposta è sorniona: "Il caso di Primavalle? Vedremo". Poi, con un sorriso: "Chiedere la scarcerazione al riesame? Non l'ho ancora fatto perché aspetto i test definitivi del dna...". La laconicità delle risposte dissimula la conoscenza di un'indiscrezione di cui gli investigatori sono al corrente da giorni. Che è questa: il dna sin qui estratto dalle tracce biologiche repertate sul corpo della vittima dello stupro di Primavalle non è quello di Racz. Al contrario, corrisponde con esattezza a quello di un altro uomo con cui la donna ebbe un rapporto sessuale consenziente la mattina del 21 gennaio. Il dettaglio non è decisivo, ma ha una certa rilevanza. Soprattutto, apre un nuovo enigma che se i risultati definitivi del lavoro della scientifica, tuttora in corso, non dovessero essere in grado di sciogliere (evidentemente con l'individuazione di altre tracce biologiche), promette di far ingarbugliare anche questo caso più di quanto già non lo sia.

Per quel che gli atti istruttori documentano, la donna vittima dello stupro racconta con comprensibile tormento che la mattina del 21 gennaio ha avuto nel suo appartamento un rapporto sessuale consenziente con un cittadino egiziano di cui la polizia ha accertato l'identità. Aggiunge di aver fatto una doccia prima di uscire di casa e di aver quindi trascorso l'intera giornata in commissioni, utilizzando i mezzi pubblici. Quindi, di essere stata aggredita la sera, nel tragitto a piedi tra la fermata dell'autobus di via Andersen e la sua abitazione. Sono in due e la sorprendono alle spalle. Uno solo di loro è l'uomo che abusa. Indossa un giaccone con il cappuccio tirato sulla testa. La donna, ferita, chiama un'amica e quindi soccorso. Si ripulisce come può con dell'acqua minerale prima di arrivare in ospedale, dove le viene certificata la violenza e prelevati i tamponi per l'esame del dna.


Il test, almeno in questa prima fase (gli esami completi si attendono per i prossimi giorni) individua il solo dna dell'uomo con cui la donna ha avuto rapporti al mattino. Possibile che sia rimasta solo quella traccia? Che una giornata sui mezzi pubblici e la violenza non ne abbiano lasciato di altre? E che l'acqua del mattino (la doccia) e della sera (la minerale) abbia lavato tutto, tranne un solo dna?

Alla Squadra mobile allargano le braccia. "Al momento, è così", dicono. E nella presa d'atto si coglie un segno di frustrazione che si comprende meglio alla luce di quel che accade dopo e intorno a quel primo test del dna. In un primo momento, la donna vittima della violenza non è in grado di fornire una descrizione precisa del suo aggressore. Se non per un particolare. E' un "uomo scuro" con gli incisivi ridotti a monconi anneriti. Poi, l'ultimo venerdì di febbraio, è nel carcere di Regina Coeli. Le vengono mostrati tre uomini che indossano un giaccone con il cappuccio tirato sulla testa. Uno di loro è Karol Racz, arrestato il 18 febbraio con l'accusa di essere uno dei due stupratori della Caffarella. La donna non dà segni di riconoscere tra loro il suo aggressore. Allora, agli uomini viene chiesto di togliere il cappuccio e, alla vista di Racz, la donna, prima di svenire, ha una crisi emotiva che scuote gli stessi magistrati presenti. La sua reazione, più che il condizionale delle parole che pure ripete quattro volte ("Direi che è lui. Mi sembrerebbe lui"), convince il pm Nicola Maiorano che il riconoscimento sia pieno. Che sia Racz l'uomo di via Andersen. Anche perché i suoi incisivi sono effettivamente martoriati come nel primo ricordo della vittima.

Quel che accade dopo è cronaca di questi giorni. Racz si dice innocente e offre per la notte del 21 gennaio un alibi. "Ero al campo", dice, chiamando a testimoni gli stessi rom che Loyos indicherà quali alibi per il pomeriggio della Caffarella. Amici di Racz e di suo fratello che - detto per inciso - viene arrestato come Karol, ma per altri motivi, il 18 febbraio e con lui è oggi a Regina Coeli. La donna, intervistata, ritratta in due diverse occasioni. Dice di non essere più certa del suo riconoscimento.

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