lunedì 23 novembre 2009

Londra: strangola la moglie in stato di sonnambulismo e torna libero/ Man who killed wife in sleep, Brian Thomas, walks free after charge

Un interessante articolo dalla sezione di Crime news, cronaca nera, del Times online di Londra. Un marito viene rilasciato dopo che la Corte ha accertato che ha commesso l'omicidio della moglie in uno stato di automatismo, sonnambulismo, in cui non era capace di intendere e di volere. Il sig Thomas ha strangolato la moglie Cristine di 40 anni mentre erano in vacanza in camper, durante un incubo in cui ha immaginato l'attacco di alcuni ragazzi che in precedenza avevano realmente dato fastidio alla coppia . L'uomo è descritto come gentile, devoto e innamorato della moglie e sebbene si senta colpevole della morte della consorte, per la corte non ha alcuna responsabiltà per il fatto commesso, Esperti psichiatri consultati dalla corte hanno ritenuto inutile e dannosa la sua reclusione in carcere, essendo praticamente nulla la possibilità di reiterazione del reato. L'uxoricida ha un vissuto di disturbi del sonno documentato da test ed esami.
Il caso è considerato unico in Gran Bretagna per le circostanze particolari in cui si è verificato, ma esistono almeno 50 casi simili registrati nel mondo.
Alla giuria è stato chiesto non di giudicare se Thomas fosse colpevole di omicidio, ma di giudicare se fosse in grado di intendere e di volere, se fosse presente un vizio di mente, durante la commissione del delitto.
Non sono stati resi noti i dettagli del delitto per timore di emulazione del crimine.
Interessante il commento di una lettrice che si domandava:_ Se ad uccidere il marito fosse stata una moglie sonnambula , il verdetto sarebbe stato identico?-
La lettrice risponde negativamente.

Vi allego l'articolo nella sua versione originale dal Times online


The Times
November 21, 2009
Man who killed wife in sleep, Brian Thomas, walks free after charges withdrawn
Simon de Bruxelles

A man who strangled his wife during a nightmare has walked free from court after the prosecution withdrew all charges against him.
Brian Thomas, 59, dreamt that intruders had broken into the couple’s camper van, and then killed his wife Christine while in a state known as automatism.
The judge told him that he had been a “decent man and a devoted husband” and bore no responsibility for his actions.
The Crown Prosecution Service described the case as “almost unique in the UK” and said there had been fewer than 50 recorded instances worldwide. It had argued during the case that Mr Thomas should be detained at a mental hospital but withdrew after three psychiatrists said that it would “serve no useful purpose”.
Mr Thomas, a retired steel worker from Neath, South Wales, was on holiday with his wife, 57, when he woke up beside her lifeless body. The jury at Swansea Crown Court was played a recording of his 999 call and heard that he had been “suicidal” since her death.
Both defence and prosecution had accepted at the start of the trial that Mr Thomas was not in control of his actions at the time of the killing. The jury had been asked to decide not if he had killed his wife but whether he was medically insane at the time that he had done so. Yesterday they were directed to return a not-guilty verdict, allowing Mr Thomas to leave court an innocent man.
Iwan Jenkins, chief Crown prosecutor for CPS Dyfed Powys, said: “This has been a unique case with a unique set of circumstances.
“Following expert evidence from a psychiatrist it was suggested that no useful purpose would be served by Mr Thomas being detained and treated in a psychiatric hospital, which would be the consequence of a special verdict in this case.
“It is now clear that the psychiatrists feel the risk of reoccurrence is very, very small. It is only because of highly sophisticated tests carried out by sleep experts that Mr Thomas’s condition could be confirmed.”
Judge Mr Justice Nigel Davis told Thomas that although he would feel guilty about killing his wife: “In the eyes of the law you bear no responsibility for what happened.”
Mr Thomas’s brother Raymond said: “I wasn’t really surprised that it went to trial given the circumstances of what happened, but he’s a gentle man. Christine and Brian loved each other. Brian is very emotional right now but thankful to be out.”
Mrs Thomas was strangled by her husband in July 2008 while they were on holiday in Aberporth, West Wales. While parked in their camper van Mr Thomas dreamt that one of a group of “boy racers” who had disturbed them earlier had broken into the van and he fought with the intruder. When he came round he realised that he had killed his wife of 40 years.
The court was told that Mr Thomas had suffered from a variety of sleep disorders for most of his life and had a history of sleepwalking.
He had stopped taking medication for depression and Parkinson’s disease because it made him impotent, an omission that also affected his mental state.
The expert witnesses were briefed not to go into too much detail about the condition that affected Mr Thomas for fear of “copycat” killings.

venerdì 20 novembre 2009

Perugia, processo Meredith /2

Gli articoli della Repubblica .it e del Messaggero.it sono interessanti per comprendere le differenti versioni attribuite dagli autori ai protagonisti della vicenda, a volte differenze minime o nulle, come quando si riportano direttamente le parole dl pm Mignini, altre volte più significative. Per costruirsi un'opinione occorre conoscere i molteplici punti di vista elaborando criticamente la propria personale visione dei fatti.

Da Larepubblica.it del 20.11.09 sezione cronache


Omicidio Meredith, requisitoria del pm
"Tirare le fila di questo lungo dibattimento"
I due giovani sono accusati di omicidio volontario, violenza sessuale
porto ingiustificato di un coltello, furto e simulazione di reato
PERUGIA - E' cominciata davanti alla Corte d'assise di Perugia la requisitoria del pubblico ministero nel processo a Raffaele Sollecito e ad Amanda Knox accusati dell'omicidio di Meredith Kercher avvenuto nella notte tra il primo e il 2 novembre di due anni fa. Quattro giorni il delitto dopo la polizia arrestò Sollecito e la Knox, che si proclamano innocenti. I due giovani, tutt'ora detenuti, sono stati quindi rinviati a giudizio per omicidio volontario, violenza sessuale, porto ingiustificato di un coltello, furto e simulazione di reato.

"E' ora di tirare le fila di questo lungo dibattimento, in una vicenda unica nel suo genere nel panorama giudiziario italiano e mondiale e che ha interessato tre continenti", dice il pubblico ministero, Giuliano Mignini. "Un iter processuale lineare e sicuro. Non si possono però passare sotto silenzio - sottolinea Mignini - gli attacchi che hanno accompagnato questo processo e i continui tentativi di delegittimazione nei confronti degli agenti di polizia operanti, che invece hanno svolto con professionalità il loro compito e, talvolta, anche nei confronti della Corte".

"Attacchi fatti da soggetti italiani e di oltreoceano - dice ancora il magistrato - avvocati estranei a ogni mandato, detective in cerca di notorietà, scrittori, giallisti e blogger che si sono dati il cambio per assicurare una sorta di processo parallelo, tutti accomunati da approssimazione e superficialità. Ma il processo si celebra solo in questa aula".

Durante la requisitoria Raffaele Sollecito legge in silenzio la memoria preparata dai suoi difensori; Amanda Knox ascolta attentamente il pm, senza distogliere quasi mai lo sguardo dal magistrato. Entrambi sono seduti accanto ai loro difensori.

I due ex fidanzati non sono sembrati scambiarsi alcuno sguardo durante la mattinata. Seduta vicino alla Knox anche l'interprete che l'ha assistita fin dall'inizio del processo ma la giovane di Seattle sta ascoltando il magistrato senza ricorrere alla traduzione.

Prendendo qualche appunto nei passaggi della requisitoria che più la riguardano direttamente. In aula anche il padre di Sollecito, Francesco, con accanto la seconda moglie e l'attuale marito della madre della Knox.

La sola americana deve rispondere inoltre di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba per averlo coinvolto con le sue dichiarazioni nell'indagine sull'omicidio Kercher al quale è stato poi però riconosciuto completamente estraneo. Con loro la procura di Perugia ritiene responsabile del delitto anche Rudy Guede, già condannato a 30 anni di reclusione con il rito abbreviato e per il quale è in corso il processo d'appello (il pg ha chiesto la conferma della pena e l'udienza riprenderà il 21 dicembre prossimo). Anche l'ivoriano sostiene di essere estraneo all'omicidio.

Da Ilmessaggero.it del 20.11.09 sezione cronache

Omicidio Meredith, requisitoria del pm
"Tirare le fila di questo lungo dibattimento"
I due giovani sono accusati di omicidio volontario, violenza sessuale
porto ingiustificato di un coltello, furto e simulazione di reato
PERUGIA - E' cominciata davanti alla Corte d'assise di Perugia la requisitoria del pubblico ministero nel processo a Raffaele Sollecito e ad Amanda Knox accusati dell'omicidio di Meredith Kercher avvenuto nella notte tra il primo e il 2 novembre di due anni fa. Quattro giorni il delitto dopo la polizia arrestò Sollecito e la Knox, che si proclamano innocenti. I due giovani, tutt'ora detenuti, sono stati quindi rinviati a giudizio per omicidio volontario, violenza sessuale, porto ingiustificato di un coltello, furto e simulazione di reato.

"E' ora di tirare le fila di questo lungo dibattimento, in una vicenda unica nel suo genere nel panorama giudiziario italiano e mondiale e che ha interessato tre continenti", dice il pubblico ministero, Giuliano Mignini. "Un iter processuale lineare e sicuro. Non si possono però passare sotto silenzio - sottolinea Mignini - gli attacchi che hanno accompagnato questo processo e i continui tentativi di delegittimazione nei confronti degli agenti di polizia operanti, che invece hanno svolto con professionalità il loro compito e, talvolta, anche nei confronti della Corte".

"Attacchi fatti da soggetti italiani e di oltreoceano - dice ancora il magistrato - avvocati estranei a ogni mandato, detective in cerca di notorietà, scrittori, giallisti e blogger che si sono dati il cambio per assicurare una sorta di processo parallelo, tutti accomunati da approssimazione e superficialità. Ma il processo si celebra solo in questa aula".

Durante la requisitoria Raffaele Sollecito legge in silenzio la memoria preparata dai suoi difensori; Amanda Knox ascolta attentamente il pm, senza distogliere quasi mai lo sguardo dal magistrato. Entrambi sono seduti accanto ai loro difensori.

I due ex fidanzati non sono sembrati scambiarsi alcuno sguardo durante la mattinata. Seduta vicino alla Knox anche l'interprete che l'ha assistita fin dall'inizio del processo ma la giovane di Seattle sta ascoltando il magistrato senza ricorrere alla traduzione.

Prendendo qualche appunto nei passaggi della requisitoria che più la riguardano direttamente. In aula anche il padre di Sollecito, Francesco, con accanto la seconda moglie e l'attuale marito della madre della Knox.

La sola americana deve rispondere inoltre di calunnia nei confronti di Patrick Lumumba per averlo coinvolto con le sue dichiarazioni nell'indagine sull'omicidio Kercher al quale è stato poi però riconosciuto completamente estraneo. Con loro la procura di Perugia ritiene responsabile del delitto anche Rudy Guede, già condannato a 30 anni di reclusione con il rito abbreviato e per il quale è in corso il processo d'appello (il pg ha chiesto la conferma della pena e l'udienza riprenderà il 21 dicembre prossimo). Anche l'ivoriano sostiene di essere estraneo all'omicidio.

Perugia, processo Meredith: requisitoria dei Pm

Oggi A Peugia prosegue il processo per l'omicidio di Meredith Kercher per il quale sono indagati Raffaele Sollecito e Amanda Knox, mentre l'ivoriano Rudy Guede ha in corso l'appello contro la condanna a 30 anni inflitta nel processo di primo grado con rito abbreviato. Ieri l'ivoriano ha raccontato la sua versione dei fatti, ammettendo la sua presenza in casa di Meredith, di intimità con lei,ma ribadendo la sua estraneità all'assasinio e al fatto di non essere riuscito a salvarla dall'emorragia che l'avrebbe dissanguata e di essere fuggito per quel motivo. Il pm Magnini non ritiene verosimile e credibile la sua versione e riconferma la richiesta di condanna a 30 anni come in primo grado di giudizio.
I maggiori quotidiani online riportano la notizia dando ampio spazio ad una presunta rivalità tra Amanda e Meredith.

Le fonti degli articoli sono:
Lastampa.it; Corrieredellasera.it; Larepubblica.it; Ilmessaggero.it

Da Lastampa .it del 20.11.09 sezione Cronache

Perugia, il Pm: "Amanda ha covato
a lungo il suo odio per Meredith"

L'accusa: «La ragazza quella sera ha compiuto la sua vendetta». Poi l'affondo: «Basta demonizzazioni e pressioni sul lavoro dei giudici»

PERUGIA
È cominciata stamani davanti alla Corte d’assise di Perugia la requisitoria dei pubblici ministeri Giuliano Mignini e Manuela Comodi nel processo a Raffaele Sollecito e ad Amanda Knox accusati dell’omicidio di Meredith Kercher. I due imputati erano presenti in aula.

Il primo a prendere la parola è stato il pm Mignini, che ha esordito: «Amanda Knox ha consapevolmente accusato un innocente». Il riferimento è a Patrick Lumumba, che però non ha nominato espressamente, coinvolto nell’indagine sull’omicidio di Meredith Kercher per le dichiarazioni alla polizia della giovane americana e poi prosciolto da ogni addebito (è infatti ora costituito parte civile nei confronti dell’americana accusata di calunnia nei suoi confronti). «Amanda - ha sottolineato il magistrato - non ha mosso un dito mentre languiva in carcere. Nè lei nè la madre che aveva raccolto le sue confidenze. E guarda caso - ha proseguito Mignini - si trattava di una persona di colore come Rudy Guede».

Amanda Knox «ha covato odio per Meredith» e la sera del 2 novembre del 2007 per la giovane americana «era venuto il momento di vendicarsi di quella smorfiosa». È il quadro delineato dal pm Giuliano Mignini nella sua requisitoria. Secondo il pm la Knox doveva incontrare Rudy Guede, inizialmente da sola, forse per questioni legate alla droga di cui entrambi - ha spiegato - facevano uso. Poi però a loro si unì anche Raffaele Sollecito e tutti e tre insieme andarono nella casa di via della Pergola dove già si trovava Meredith. «A quel punto - ha detto Mignini - c’ è stata una discussione per soldi o forse perchè Meredith era contrariata dalla presenza di Rudy. A quel punto c’ è stato il tentativo di coinvolgere Meredith in un pesante gioco sessuale, quella sera che era la prima in cui la giovane inglese era sola in casa. Amanda aveva il modo di vendicarsi di quella ragazza che stava solo con le amiche inglesi e la rimproverava per la sua mancanza di pulizia. È cominciato allora - ha sottolineato Mignini - il calvario di Meredith».

Prima di entrare nel vivo della requisitoria, il pm Mignini non ha lesinato alcuni affondi rivolti ai media statunitensi, dopo due anni di continue pressioni e attacchi al sistema giudiziario italiano: «C’è stata una chiara opera di demonizzazione», ha così detto in aula il pm Mignini. Poi è passato a difendere l’operato della Polizia di Stato: «Pressioni a fronte di un enorme lavoro portato avanti dalla Squadra mobile, dallo Sco e dalla Scientifica locale e nazionale. Il tutto finalizzato esclusivamente ad accertare la verità sull’omicidio della ragazza inglese. La ricerca della verità è un passaggio che in troppe occasioni si è dimenticato, è stato messo in secondo piano».


ora dal Corrieredellasera.it

REQUISITORIA NEL PROCESSO DAVANTI ALLA CORTE D'ASSISE
Delitto di Mez, il pm accusa Amanda: voleva vendicarsi di 'quella smorfiosa'
Il pubblico ministero Mignini davanti alla Corte d'Assise: «La Knox ha covato odio per Meredith»
PERUGIA - Amanda Knox «ha covato odio per Meredith» e la sera del 2 novembre del 2007 per la giovane americana «era venuto il momento di vendicarsi di quella smorfiosa». A parlare è il pm Giuliano Mignini nella sua requisitoria davanti alla Corte d'Assise a Perugia. Secondo il pubblico ministero, la sera del delitto la Knox doveva incontrare Rudy Guede, inizialmente da sola, forse per questioni legate alla droga di cui entrambi - ha spiegato - facevano uso. Poi però a loro si unì anche Raffaele Sollecito e tutti e tre insieme andarono nella casa di via della Pergola dove già si trovava Meredith. «A quel punto - ha detto Mignini - c' è stata una discussione per soldi o forse perché Meredith era contrariata dalla presenza di Rudy. A quel punto c' è stato il tentativo di coinvolgere Meredith in un pesante gioco sessuale, quella sera che era la prima in cui la giovane inglese era sola in casa. Amanda aveva il modo di vendicarsi di quella ragazza che stava solo con le amiche inglesi e la rimproverava per la sua mancanza di pulizia. È cominciato allora - ha sottolineato Mignini - il calvario di Meredith».
«ACCUSE CONSAPEVOLI A UN INNOCENTE» - Il pm accusa la studentessa di Seattle nche di aver «consapevolmente accusato un innocente». Il riferimento è a Patrick Lumumba, che però non ha nominato espressamente, coinvolto nell'indagine sull'omicidio di Meredith Kercher dalle dichiarazioni alla polizia della giovane americana e poi prosciolto da ogni addebito (è infatti ora costituito parte civile nei confronti dell'americana accusata di calunnia nei suoi confronti). «Amanda - ha sottolineato il magistrato - non ha mosso un dito mentre languiva in carcere. Né lei né la madre che aveva raccolto le sue confidenze. E guarda caso - ha proseguito Mignini - si trattava di una persona di colore come Rudy Guede».
DEMONIZZAZIONE DEI TESTIMONI» - Durante la requisitoria, Mignini si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa, parlando di una «continua operazione di demonizzazione» di alcuni testimoni facendo riferimento all'operato delle difese degli imputati. «Diversi testi - ha detto il pubblico ministero - hanno esitato a presentarsi agli inquirenti, ma poi lo hanno fatto in maniera assolutamente precisa. Le difese hanno invece insinuato il sospetto che lo hanno fatto per chissà quali manovre». Mignini ha poi evidenziato il «lavoro enorme» fatto dalla polizia «per accertare la verità sull'omicidio della ragazza inglese, della quale - ha detto - troppo spesso ci si dimentica». Ha ricordato l'impegno della squadra mobile di Perugia, dello Sco e della scientifica del capoluogo umbro e nazionale.

martedì 17 novembre 2009

Garofano e l'invidia sociale per gli eroi

Oggi sul Corrieredellasera.it Marco Imarisio scrive un acuto articolo sullo sport tutto italiano di infangare con soddifazione gli eroi che si distinguono per azioni coraggiose, per risultati eccelenti che non sono limitati alla sfera personale, ma divengono utili, positive per la collettività. I bersagli possono essere Vip, sportivi, ma anche servitori dello Stato come nel caso del Capitano Ultimo e di Garofano accomunati nell'articolo da uno strano destino.


Dalla lettura contenente la citazione di De Rita "Siamo vittime del contagio revisionista" prende spunto la considerazione che, dai fatti analizzati, si evince la potenza dell'invidia sociale, motore di movimenti d'opinione negativi atti a distruggere, infangare chi ha osato emergere dalla massa, dall'anonimato per il bene del proprio Paese, per il coraggio e la professionalità con cui ha svolto il proprio incarico, quasi fosse un attacco al qualunquismo, all'inettitudine, alla pigrizia intellettuale, all'acquiescenza pronta a divenire furore appena cambia il verso del vento, appena l'eroe si trova in difficoltà e ritorna vulnerabile, umano e piccolo come è nella condizione del popolo degli indifferenti.
Il peso dei meriti e degli eventuali errori è diseguale, per una regola di sopravvivenza siamo portati a ricordare meglio gli eventi negativi onde proteggerci dagli effetti pericolosi, ma qui non è in gioco la sopravvivenza della persona, o forse sì, la sopravvivenza dell'Ego degli inetti, degli ignavi, di chi gode delle disgrazie altrui, punito per aver osato dimostrare il valore, la grandezza d'animo, pronto al sacrificio per un ideale, per una fedeltà ai principi apparentemente smarriti e messi in risalto dall'opera di questi eroi moderni, non esenti da difetti eppure umani e nello stesso tempo Grandi.
Se criminalizziamo gli eroi postivi uccidiamo la nostra speranza di cambiamento, di rinascita tanto necessaria quanto difficile e accettiamo supinamente i soprusi degli arrogati e potenti perchè tanto capitano agli altri, mica a noi, che conduciamo la nostra vita grigia di sogni sbiaditi e dissolti nell'inazione per non essere attaccati, per vivere tranquilli.
Gli uomini coraggiosi come Capitano Ultimo e Garofano sono l'ossigeno delle coscienze civili, testimoni di aderenza a principi morali dei quali, sì, dovremmo essere positivamente invidiosi.

lunedì 16 novembre 2009

Scotland Yard cattura stupratore seriale accusato di quasi 200 aggressioni/Man charged with "Night Stalker" sex attacks on elderly

Giunge da Scotland Yard la notizia più confortante della giornata per i temi affrontati da questo blog: la cattura di uno strupratore seriale che per diciassette anni ha aggredito quasi 200 donne anziane dai 68 anni ai 93. Si tratta di un uomo sposato di 52 anni, Delroy Grant, insospettabile, di giorno premuroso nell'assistere la moglie costretta sulla sedia a rotelle dalla sla, di notte implacabile cacciatore che con un identito modus operandi, si introduceva nottetempo nelle case delle vittime, tagliava i fili della luce e del telefono e indossando passamontagna e tuta neri assaltava le donne cogliendole nel sonno, puntando loro una luce violenta sul volto. Sebbene sulle scene dei crimini fossero state raccolte quasi 2000 tracce di Dna, soltanto un grossolano errore ha permesso la cattura del criminale: ha utilizzato il bancomat di una vittima per prelevare denaro.

Ho preferito risalire alla fonte originale dal Times on line per sottopporre alla vostra attenzione questo articolo di Adam Fresco insieme alla domanda:" Secondo voi quale motivazione potrebbe aver spinto ad un simile comportamento violento ed abietto contro donne anziane un uomo che era marito premuroso ed accudente la consorte malata?
Prima di esporre la mia ipotesi interpretativa vorrei conoscere le vostre opinioni


From Times Online
November 16, 2009
Man charged with ‘Night Stalker’ sex attacks on elderly
Adam Fresco, Crime Correspondent


A 52-year-old full-time carer has appeared in court today charged with a series of rapes and indecent assaults on elderly people over the last 17 years.
Delroy Grant appeared at Greenwich Magistrates’ Court, a day after he was arrested by detectives hunting a sex attacker dubbed the Night Stalker.
Mr Grant, from Brockley, southeast London, was charged with five rapes, six indecent assaults, two burglaries, eight burglaries with violence and one burglary with intent to rape, dating from between October 1992 and May this year. Twelve of the offences related to a three month period between June and August 1999, according to court papers.
Wearing a white tracksuit and appearing relaxed, Mr Grant spoke aloud only to confirm his name, age and address.

District Judge Angus Hamilton remanded him into police custody until Thursday when he is due to appear in court again.
Detectives from Operation Minstead arrested Mr Grant as he returned to his car in Shirley, southeast London, yesterday morning.
Operation Minstead was set up to find the man known as the Night Stalker, who targeted men and women aged up to 93 across South London, breaking into their homes and subjecting them to horrific ordeals of up to four hours.
The incidents took place in clusters in South and southeast London, including Dulwich, Orpington, Norwood, Downham, Lee, Croydon, West Wickham and Bickley.
Striking up to nine times a week, the attacker has eluded police for 17 years despite a huge manhunt which involved sending officers to the Caribbean and detectives offering a £40,000 reward.
The Night Stalker is known to have attacked at least 108 times, although more recent assaults were not publicised and, according to reports, that total may be closer to 200.

Gen. Garofano: "Dirò la mia verità". Domani conferenza stampa

Fra gli articoli oggi in rassegna stampa, il più completo sulle dimissioni del gen. Garofano è quello pubblicato da Larepubblica Parma .it. Interessanti come e più del solito i commenti dei lettori all'articolo, quasi tutti espressioni di solidarietà apprezzamento e stima per l'ex comandante dei Ris e perplessità quando non aperto dissenso con l'operato dell'avv. Taormina. Da sottolineare che il tribunale militare all'epoca dell'inchiesta non ravvisò reati commessi che fossero sotto la sua competenza e tramise gli atti alla procura civile.


Da Larepubblica Parma.it 16.11.09
Luciano Garofano lascia la guida dei Ris. La notizia arriva prima che, in serata, il procuratore di Parma Gerardo La Guardia confermi l'apertura di un fascicolo nei suoi confronti per le ipotesi di reato di truffa ai danni dello Stato, peculato, falso e abuso d'ufficio. Le indagini sono scaturite da una denuncia dell'avvocato Carlo Taormina in merito a presunte irregolarità compiute dal reparto per lo svolgimento di consulenze tecniche su importanti e controversi casi giudiziari degli ultimi anni

Romano, 56enne, Luciano Garofano è stato fino a ieri comandante del Reparto investigazioni scientifiche di Parma, che guidava da 14 anni. Ha presentato congedo al comando generale dei carabinieri dopo essersi occupato dei delitti più noti degli ultimi anni, dall’o micidio di Garlasco alla strage di Erba, dal caso Cogne all’a ssassinio di via Poma. Difficilmente ora rimarrà disoccupato: da tempo l'ufficiale sarebbe al centro di un progetto per la nascita di una nuova struttura di investigazione privata.

"Dirò la mia verità". Ieri il colonnello, diventato generale al momento del congedo come da consuetudine, aveva preferito non rilasciare nessuna dichiarazione: "In questo momento - aveva detto - non intendo fare alcun commento". Oggi ha aggiunto: "Sono accuse che fanno molto male", annunciando per domani alle 12 una conferenza stampa all'hotel Excelsior di Roma, dove racconterà la sua versione dei fatti in merito all'indagine in cui è coinvolto e alla scelta di lasciare l'Arma. "Sono pronto - ha sottolineato - a raccontare tutta la verità. Risponderò a tutte le domande che mi verranno rivolte".

L'inchiesta. Nelle indagini della procura di Parma Garofano è l'unico iscritto nel registro degli indagati per una vicenda che ruota intorno ad alcune consulenze di cui è stato incaricato, in qualche caso in qualità di "persona fisica", non di ufficiale superiore dell'Arma. Quelle nei suoi confronti, commenta La Guardia "sono ipotesi di reato per certi versi provvisorie in attesa di avere una informativa specifica e definitiva. Il colonnello non è stato convocato per un interrogatorio che allo stato non avrebbe senso". Insomma, l'inchiesta è ancora agli albori ed è "prematuro esprimere qualunque tipo di valutazione. "Il tribunale militare aprì un'inchiesta sul colonnello Garofano non ravvisando però la commissione di reati che potessero rientrare sotto la sua competenza. "A giugno - ha spiegato Laguardia - gli atti sono stati trasmessi a Parma e noi abbiamo aperto un fascicolo".

Le dimissioni. Secondo le prime ricostruzioni le dimissioni di Garofano, però, non sarebbero collegate con la vicenda che lo vede indagato, ma sarebbero da ricondurre a motivazioni personali legate al suo trasferimento da Parma disposto dopo che Garofano si era presentato alle ultime elezioni europee con La Destra, senza però essere eletto. La motivazione alla base del trasferimento disposto dal Comando generale dell'Arma sostiene che in base alla legge il comandante non poteva più continuare ad esercitare là dove si era candidato.

Un'impostazione contestata dall'ufficiale, che aveva fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro il provvedimento. Il Tar in un primo momento aveva accolto la richiesta di sospensiva, bloccando il trasferimento, ma il Consiglio di Stato ne ha successivamente riconosciuto la legittimità. Il colonnello Garofano è stato dunque trasferito da Parma al Racis di Roma, il Raggruppamento operativo scientifico dell'Arma, una decisione che l'ufficiale ha continuato a non condividere.

La soddisfazione di Taormina. Comunque soddisfatto l'ex avvocato di Anna Maria Franzoni, condannata anche grazie alle indagini del Ris di Parma. "Ciò che ha costituito oggetto delle mie indicazioni - ha commentato Taormina - ha trovato riscontro. Più volte il Comandante Garofano ha riservato a me attacchi di tutti i generi senza successo. Mi auguro che finalmente ora questo signore possa rispondere alla giustizia ordinaria senza divisa e ulteriore possibilità di remora".

"Le accuse - precisa l'avvocato - sono di aver utilizzato attrezzature e personale appartenente all'Arma durante l'orario di ufficio e di aver percepito somme di denaro dalle consulenze tecniche affidategli quando il consulente tecnico nominato dai pubblici ministeri o dai giudici per legge non può essere considerato pubblico ufficiale ma privato cittadino".

La solidarietà dell'Arma. "L'Arma conferma stima e apprezzamento per le qualità professionali e personali del generale Garofano e dei militari del Ris di Parma". E' quanto rispondono all'ufficio stampa del comando generale dell'Arma dei carabinieri alla richiesta di un commento sulla vicenda Garofano. I militari del Ris, proseguono all'ufficio stampa, "operano con incarichi di consulenza e perizia conferiti anche a titolo individuale dall'autorità giudiziaria, secondo le regole fissate dal codice di procedura penale e dalla disciplina interna per l'uso delle strumentazioni dell'Amministrazione". "L'Arma - viene infine sottolineato - è impegnata al fianco dell'autorità giudiziaria di Parma per chiarire ogni dettaglio della vicenda".

domenica 15 novembre 2009

Il Col. Garofano si congeda dall'Arma

Oggi, 15 novembre il tg1 delle 13.30 lancia la notizia delle dimissioni del Col. Garofano dall'Arma dei Carabinieri che le accetta. Le motivazioni di questa scelta sono note in verità soltanto all'ex Comandante dei Ris di Parma, mentre le varie testate giornalistiche, con qualche distinguo, collegano la decisione con il ruolo di indagato per truffa ai danni dello stato ed altri reati ipoteticamente commessi durante le indagini sui casi esaminati dal Col. e dalla sua squadra dall 2002 ad oggi, i cui documenti cartacei, si parla di circa ventimila faldoni, sono stati prelevati in due riprese dalla Guardia di Finanza su ordine del pm Dal Monte, titolare dell'indagine presso la Procura di Parma su denuncia dell'avv. Taormina.
Altre ipotesi di motivazioni sono legate alla decisione del Comando Generale dell'Arma di trasferimento del Col.Garofano dal Ris di Parma al Racis di Roma per incompatibilità ambientale dopo la candidatura alle lezione europee nello stesso collegio elettorale in cui il Col.Garofano opera. A questa decisione il comandante si era opposto ed il Tar del Lazio aveva annullato il trasferimento, ma il ricorso dell' Arma era stato accolto in Consiglio di Stato ed il trasferimento divenuto definitivo.
Oltre alle motivazioni sulle quali è lecito interrogarsi colpisce lo stile a tratti già colpevolista con cui è ritratto il Col. Garofano, con richiami e relativi giudizi al suo impegno nella divulgazione del ruolo delle indagini scientifiche, come se non si trattasse della stessa persona che insieme alla sua squadra di scienziati contribuiva a risolvere i più famosi casi di cronaca dai Caretta a Tommaso Onofri, a Novi Ligure, a Erba passando per Cogne.
L'inizio della campagna mediatica contro i Ris di Parma ed in particolare contro il suo Comandante avviene a Cogne con l'irrompere nella difesa della Franzoni dell'avv. Taormina e continua ancora oggi con il caso di Garlasco.
Il prof. Taormina a mezzo stampa e in trasmissioni televisive lancia pesantissime accuse sull'operato dei Ris e del suo comandante, tentando di screditare la professionalità e l'attendibilità dei risultati delle loro indagini. Partono le denunce per calunnie e diffamazione che non avranno giustizia per l'immunità parlamentare prima e per decorrenza dei termini legali poi.
L'avv. Taormina continua ora compiaciuto la sua personale guerra contro un professionista che per oltre trenta anni ha servito lo Stato con dedizione e senso di responsabilità, a garanzia della sicurezza dei cittadini.
Le posizioni dell'avv. Taormina sono note, mentre quelle del Col. Garofano sono affidate alle pagine del suo ultimo libro "Il processo imperfetto" in cui descrive anche i contrasti con il difensore della Franzoni. All'indomani della pubblicazione del libro, con tempestività impressionante, la Guardia di Finanza requisisce alcuni faldoni relativi agli atti di alcuni casi presso la sede del Ris di Parma su denuncia dell'Avv. Taormina. A due mesi dall'uscita del libro parte puntualissima l'annuncio di querela da parte dell'Avv. Taormina per le pagine in cui è protagonista.
Al di là di tutte le considerazioni possibili sui fatti da indagare, per i quali la Procura di Parma dovrà accertare la fondatezza o meno, vorrei conoscere la vera origine dell'aggressività dell'avv. Taormina nei confronti del col. Garofano, che si concretizza utilizzando strumenti di legge per finalità che i cittadini non riescono a comprendere completamente, ma che pagano attraverso i contributi di tutti.
I soldi dei contribuenti sono ben spesi per indagare anche su casi risolti, passati giudicato, quando si auspica una maggiore disponibità di risorse per la magistratura per ridurre la durata dei processi?
Quanto ci costa la vendetta privata di Taormina? E' davvero così necessario e giustificato attaccare la carriera, il prestigio, il valore di uno scienziato in divisa per soddisfare la sete di giustizia del prof. Taormina?
Ai cittadini interessano altre battaglie, da combattere quotidianamente contro i soprusi dei potenti, degli arroganti, impuniti anche se palesemente colpevoli, a piede libero per continuare a commettere reati contro gli onesti ed ingenui che credono ancora di ottenere giustizia.
Ma la giustizia è ingolfata da una montagna di processi da definire, ora se ne aggiunge un altro.
In uno stato democratico in cui è possibile esprimere liberamente il proprio pensiero, l'utilizzo strumentale di mezzi di comunicazione in condizioni di squilibrio fra due o più posizioni contrapposte non favorisce il confronto sereno e costruttivo, quindi usiamo la democrazia della Rete per dare voce ai tanti che per pudore, onestà, senso di responsabilità decidono per il silenzio e la riflessione in attesa di far valere il loro diritto ad ottenere giustizia.

lunedì 15 giugno 2009

Roma, stupro di Capodanno: ecco la sentenza

All'inizio di quest'anno avevamo dedicato spazio alla vicenda dello stupro di Capodanno alla Fiera di Roma, in particolare al movimento di indignazione popolare che si era connesso a vicende politiche, in primo luogo al governo della città assediata dal crimine. Ora a distanza di sei mesi la sentenza emessa con il rito abbreviato che dà diritto ad uno sconto di un terzo della pena che in questo caso è di 2 anni e 8 mesi.
I commenti dei lettori agli articoli sull'argomento apparsi su varie testate on line oscillano dall'indignazione per la leggerezza della pena, ad un sentimento di dubbio sulla reputazione status morale della vittima , ad un richiamo da parte di pochi ad un attenta lettura delle informazioni prima di esprimere opinioni, ribadendo il concetto che i giudizi si possano esprimere solo in aule di tribunali ad opera di un giudice.

Raccolgo gli articoli più significativi per sottoporli alla vostra riflessione

Dall'agenzia Ansa
2009-06-15 17:53
STUPRO DI CAPODANNO: PER FRANCESCHINI 2 ANNI 8 MESI
ROMA - Due anni e otto mesi di reclusione. E' la condanna che il gup di Roma, Luigi Fiasconaro, ha inflitto a Davide Franceschini, il giovane di 22 anni di Fiumicino che confessò di essere il responsabile dello stupro di Capodanno ai danni una ragazza di 25, durante una festa alla Fiera di Roma. Lesioni gravi psicologiche e fisiche, nonché violenza sessuale, sono i reati per i quali il giovane è stato condannato al termine del rito abbreviato. Dovrà pagare 10mila euro di provvisionale alla parte offesa e 3mila al comune di Roma.

Il pm Vincenzo Barba aveva chiesto una pena di 4 anni di carcere per lesioni gravissime e violenza sessuale. Il reato di violenza sessuale prevede una pena dai cinque ad un massimo di dieci anni di reclusione. Anche dalla vicenda di Franceschini e dalla sua scarcerazione disposta dal gip alcuni giorni dopo la violenza (il pm diede parere favorevole) scaturì il cosiddetto Decreto antistupri varato dal governo che prevede la carcerazione preventiva per questo tipo di reati.

Franceschini fu arrestato il 23 gennaio scorso dalla squadra mobile di Roma; tornò in libertà il 20 marzo dopo che il gip ritenne non più sussistenti le esigenze di custodia cautelare (il pm al tempo espresse parere contrario). Tornò poi in carcere per effetto del decreto antistupri. Fu lo stesso Francechini a confessare lo stupro, giustificandosi con l'aver agito sotto l'effetto di droga e alcol.



Da LaRepubblica.it del 15.06.09

Accadde la notte di San Silvestro durante la festa organizzata alla Fiera
Arrestato, scarcerato, rinchiuso a Regina Coeli per il decreto antistupri, è tornato libero
Roma, condanna per lo stupro di Capodanno
Due anni e otto mesi al violentatore

ROMA - Condannato per violenza sessuale il giovane che abusò di una ragazza durante la festa di Capodanno alla Fiera di Roma. Due anni e otto mesi di reclusione inflitti a Davide Franceschini, 22 anni di Fiumicino, che confessò di essere il responsabile dello stupro: "Ma ero sotto l'effetto degli stupefacenti".

Al termine del rito abbreviato, il giudice ha fissato in 10 mila euro la provvisionale da versare alla ragazza e in 3 mila al comune di Roma costituito parte civile nel procedimento. "E' una sentenza equilibrata", ha ammesso l'avvocato dell'imputato. Il pm Vincenzo Barba aveva chiesto una pena più severa: 4 anni.

Quella sera, alla Fiera di Roma, Davide fu intervistato da una troupe televisiva di Studio Aperto. Gli domandarono se voleva lanciare un messaggio ai giovani: "Sì che lo voglio fare", rispose. "Nel 2009 c'è da divertirsi, ma ragazzi, date retta a me: non bevete e non fate cose strane". Qualche ora dopo, in un angolo isolato della Fiera, aggredì la ragazza, "ma avevo bevuto", tentò di giustificarsi con il giudice.

Franceschini era stato messo agli arresti domiciliari pochi giorni dopo la violenza, riportato in cella per il cosiddetto Decreto antistupri che prevede la carcerazione preventiva per questo tipo di reati, e rimesso infine in libertà dopo quattro giorni. Stamane il ragazzo era in aula. Al suo fianco, come sempre, la madre convinta, anche dopo la condanna, che suo "figlio è innocente".

"Me lo avevano detto che le difese degli stupratori dicono sempre che le donne erano consenzienti o che sono delle provocatrici. Io non ci credevo, non volevo crederci. Pensavo che non esistessero persone così cattive, invece è successo anche a me". Lo scriveva la ragazza stuprata tre mesi dopo la violenza, in una lettera aperta a Repubblica. "Oggi ho paura di tutto. Ho paura di camminare da sola. Ho paura del buio, ho paura del mio futuro. Lo so che non mi debbo vergognare, ma non è facile. Potrò dimenticare? Potrò ritornare a fare una vita normale?"


Da Corrieredellasera.it del 15.06.09

Stupro di Capodanno, Franceschini
condannato a 2 anni e 8 mesi
I reati contestati: lesioni gravi psicologiche e fisiche,
e violenza sessuale. Il pm aveva chiesto 4 anni di carcere

ROMA (15 giugno) - Due anni e otto mesi di reclusione. È la condanna che il gup di Roma, Luigi Fiasconaro, ha inflitto a Davide Franceschini, il giovane di 22 anni di Fiumicino che confessò di essere il responsabile dello stupro di Capodanno ai danni una ragazza di 25, durante una festa alla Fiera di Roma.

I reati contestati sono lesioni gravi psicologiche e fisiche,e violenza sessuale. Franceschini dovrà pagare 10mila euro di provvisionale alla parte offesa e 3mila al comune di Roma.

Il pm Vincenzo Barba aveva chiesto una pena di 4 anni di carcere per lesioni gravissime e violenza sessuale. Il reato di violenza sessuale prevede una pena dai cinque ad un massimo di dieci anni di reclusione.

Franceschini fu arrestato il 23 gennaio scorso dalla squadra mobile di Roma; tornò in libertà il 20 marzo dopo che il gip ritenne non più sussistenti le esigenze di custodia cautelare (il pm al tempo espresse parere contrario). Tornò poi in carcere per effetto del decreto antistupri. Fu lo stesso Francechini a confessare lo stupro, giustificandosi con l'aver agito sotto l'effetto di droga e alcol.

«Il gup ha oggi riconosciuto che la mia assistita è stata vittima di violenza sessuale e lesioni. Siamo soddisfatti di questa sentenza. La ragazza ha preso atto che il suo violentatore pagherà e ha un senso di liberazione». È il commento dell'avvocato Fabrizio Federici, legale della ragazza. «Anche la mia assistita - ha aggiunto - è soddisfatta della sentenza, perchè è stata rivalutata la sua posizione dopo che era stato detto che si era inventata tutto e che era consenziente. Nel corso dell'udienza ha anche dovuto rispondere ad alcune precisazioni richieste dal giudice. Ha pianto perchè per lei è ancora una sofferenza viva e ripercorrere quei ricordi le è sempre doloroso».

mercoledì 18 marzo 2009

Le confessioni devono essere confermate: uso del test dna

Anche il Corriere della sera .it, oggi, si occupa del caso dell'inglese ingiustamente condannato anche se reo confesso di omicidio.
Ancora una prova dell'utilità del test del Dna sia per identificare i colpevoli di reati che per scagionare gli innocenti

CONDANNATO ALL'ERGASTOLO PER OMICIDIO ERA INNOCENTE
Scagionato dopo 27 anni dal test del dna
L'uomo, malato mentale, aveva confessato l'omicidio



LONDRA - «E' bellissimo essere nuovamente libero, sono estasiato» ha affermato Sean Hodgson, l'uomo accusato dell'omicidio di una ventiduenne, Teresa de Simone, strangolata nella sua auto in un parcheggio di Southampton nel 1979. Hodgson, che soffre di gravi disturbi mentali, era stato condannato all'ergastolo nel 1982 anche perchè si era dichiarato più volte colpevole ma secondo la difesa l'uomo sarebbe un bugiardo cronico e le sue affermazioni sarebbero state false.
In seguito alla richiesta degli avvocati, quindi, il caso è stato riesaminato nello scorso novembre e dopo ventisette anni l'esame dna lo ha scagionato. All'epoca dell'0micidio i test non erano ancora in uso e l'appello presentato dalla commissione per la revisione delle pene non è stato contestato dalla procura in modo da garantire la rapida scarcerazione dell'uomo. Sean Hodgson è una delle persone rimaste più a lungo in una prigione di Sua Maestà a causa di un errore giudiziario

18 marzo 2009

Londra:Test Dna scagiona innocente dopo 27 anni

Giunge da Londra la notizia di un test del dna eseguito su un condannato all'ergastolo per omicidio e stupro che dimostra l'innocenza dell'indagato e apre le porte del carcere dopo 27 anni.
Il test del Dna si dimostra risolutivo nell'identificazione di un sospettato di un crimine, quando si abbiano a disposizione tracce biologiche conservate correttamente dopo quasi trentanni. Con le nuove tecnologie a disposizione nelle indagini scientifiche sarà possibile risolvere dubbi e dissipare certezze non scientificamente fondate

Da LaStampa.it
18/3/2009 (14:55) - LA STORIA
Rilasciato dopo 27 anni di carcere
Il test del Dna conferma: è innocente


Era stato condannato all'ergastolo
per l'omicidio di una 22enne
LONDRA
Un uomo che ha trascorso 27 anni in prigione per l’omicidio di una barista, è stato scarcerato in seguito ad un test del Dna che ne avrebbe dimostrato l’innocenza. Sean Hodgson, 58 anni, era stato condannato all’ergastolo nel 1982 per aver strangolato la 22enne Teresa de Simone nella sua auto in un parcheggio di Southampton, nel dicembre del 1979.

I test del Dna non erano ancora in uso all’epoca ed è stato soltanto nel novembre dello scorso anno che, in seguito ad una richiesta degli avvocati di Hodgson, il suo caso è stato riesaminato. L'uomo era stato arrestato perchè sulla scena del crimine erano state individuate tracce di sangue che corrispondevano al suo, ma soprattutto per le confessioni spontanee.

Hodgson, che soffre di problemi mentali, aveva infatti confessato diverse volte l’omicidio, ma secondo la difesa l’uomo sarebbe un bugiardo cronico e le sue affermazioni sarebbero state inventate. La procura britannica non ha contestato l’appello presentato dalla commissione per la revisione delle pene e Hodgson è tornato in libertà. Il suo è stato classificato come il peggior caso di errore giudiziario e potrebbe aprire la strada alla revisione di molte altre condanne, inflitte quando ancora non esistevano i test del Dna. L'unico caso paragonabile a quelo di Hodgson risale agli anni Settanta. Il diciassettenne Stephen Downing fu arrestato con l'accusa di aver ucciso a botte una donna, Wendy Sewell. Anche Downing, che continuava a proclamarsi innocente, fu condannato e rimase in carcere per ben 27 anni. Poi, grazie al test del Dna, venne rilasciato.

giovedì 12 marzo 2009

Stupro Caffarella e test del Dna: quando i risultati non sono quelli attesi


Da LaRepubblica.it Cronaca 12.03.09

Il retroscena. Le tracce analizzate sono di un egiziano
con cui la donna ebbe un rapporto sessuale la mattina
Stupro Primavalle, un altro mistero
il Dna sulla vittima non è di RaczLa sera, dopo l'agguato, si è lavata come ha potuto con acqua minerale

di CARLO BONINI

ROMA - Di come stiano le cose sembrano consapevoli tutti. E forse per questo tutti ne parlano malvolentieri. Lo si può dire in due parole: se l'inchiesta della Caffarella ha conosciuto un calvario, quella di Primavalle non promette nulla di meglio. Con una posta in gioco che, per altro, è cresciuta. Perché se Karol Racz non fosse lo stupratore della notte del 21 gennaio in via Andersen, la sua uscita dal carcere non dovrebbe attendere un minuto di più e anche la sua presenza, tre settimane dopo, sulla scena del crimine nel Parco della Caffarella perderebbe, a dispetto delle testimonianze, parte della sua plausibilità.

Se lo si chiede a Lorenzo La Marca, l'avvocato di Racz, la risposta è sorniona: "Il caso di Primavalle? Vedremo". Poi, con un sorriso: "Chiedere la scarcerazione al riesame? Non l'ho ancora fatto perché aspetto i test definitivi del dna...". La laconicità delle risposte dissimula la conoscenza di un'indiscrezione di cui gli investigatori sono al corrente da giorni. Che è questa: il dna sin qui estratto dalle tracce biologiche repertate sul corpo della vittima dello stupro di Primavalle non è quello di Racz. Al contrario, corrisponde con esattezza a quello di un altro uomo con cui la donna ebbe un rapporto sessuale consenziente la mattina del 21 gennaio. Il dettaglio non è decisivo, ma ha una certa rilevanza. Soprattutto, apre un nuovo enigma che se i risultati definitivi del lavoro della scientifica, tuttora in corso, non dovessero essere in grado di sciogliere (evidentemente con l'individuazione di altre tracce biologiche), promette di far ingarbugliare anche questo caso più di quanto già non lo sia.

Per quel che gli atti istruttori documentano, la donna vittima dello stupro racconta con comprensibile tormento che la mattina del 21 gennaio ha avuto nel suo appartamento un rapporto sessuale consenziente con un cittadino egiziano di cui la polizia ha accertato l'identità. Aggiunge di aver fatto una doccia prima di uscire di casa e di aver quindi trascorso l'intera giornata in commissioni, utilizzando i mezzi pubblici. Quindi, di essere stata aggredita la sera, nel tragitto a piedi tra la fermata dell'autobus di via Andersen e la sua abitazione. Sono in due e la sorprendono alle spalle. Uno solo di loro è l'uomo che abusa. Indossa un giaccone con il cappuccio tirato sulla testa. La donna, ferita, chiama un'amica e quindi soccorso. Si ripulisce come può con dell'acqua minerale prima di arrivare in ospedale, dove le viene certificata la violenza e prelevati i tamponi per l'esame del dna.


Il test, almeno in questa prima fase (gli esami completi si attendono per i prossimi giorni) individua il solo dna dell'uomo con cui la donna ha avuto rapporti al mattino. Possibile che sia rimasta solo quella traccia? Che una giornata sui mezzi pubblici e la violenza non ne abbiano lasciato di altre? E che l'acqua del mattino (la doccia) e della sera (la minerale) abbia lavato tutto, tranne un solo dna?

Alla Squadra mobile allargano le braccia. "Al momento, è così", dicono. E nella presa d'atto si coglie un segno di frustrazione che si comprende meglio alla luce di quel che accade dopo e intorno a quel primo test del dna. In un primo momento, la donna vittima della violenza non è in grado di fornire una descrizione precisa del suo aggressore. Se non per un particolare. E' un "uomo scuro" con gli incisivi ridotti a monconi anneriti. Poi, l'ultimo venerdì di febbraio, è nel carcere di Regina Coeli. Le vengono mostrati tre uomini che indossano un giaccone con il cappuccio tirato sulla testa. Uno di loro è Karol Racz, arrestato il 18 febbraio con l'accusa di essere uno dei due stupratori della Caffarella. La donna non dà segni di riconoscere tra loro il suo aggressore. Allora, agli uomini viene chiesto di togliere il cappuccio e, alla vista di Racz, la donna, prima di svenire, ha una crisi emotiva che scuote gli stessi magistrati presenti. La sua reazione, più che il condizionale delle parole che pure ripete quattro volte ("Direi che è lui. Mi sembrerebbe lui"), convince il pm Nicola Maiorano che il riconoscimento sia pieno. Che sia Racz l'uomo di via Andersen. Anche perché i suoi incisivi sono effettivamente martoriati come nel primo ricordo della vittima.

Quel che accade dopo è cronaca di questi giorni. Racz si dice innocente e offre per la notte del 21 gennaio un alibi. "Ero al campo", dice, chiamando a testimoni gli stessi rom che Loyos indicherà quali alibi per il pomeriggio della Caffarella. Amici di Racz e di suo fratello che - detto per inciso - viene arrestato come Karol, ma per altri motivi, il 18 febbraio e con lui è oggi a Regina Coeli. La donna, intervistata, ritratta in due diverse occasioni. Dice di non essere più certa del suo riconoscimento.

I video della Polizia sugli interrogatori: è giusto renderli pubblici?

Esistono situazioni in cui l'esibizione di prove video registrate può risultare non utile ai fini dell'accertamento del reale svolgimento dei fatti, il più possibile vicino alla ricerca della verità su un reato odioso come lo stupro. La prudenza e il rispetto delle norme processuali appaiono sempre più disattesi in nome di una visibiltà mediatica che soddisfa un bisogno di morbosa curiosità piuttosto che corretta informazione.
Indispensabile diventa l'esigenza di un'etica dell'informazione che sia effettivamente al servizio dei cittadini e non suddita dell'audience.


Da LaStampa.it
12/3/2009 (7:9) - RETROSCENA
"L'interrogatorio del biondino in tv,
è stato solo l'ultimo dei passi falsi"


Il video è stato trasmesso dalla trasmissione "Porta a Porta"

Critiche bipartisan sul video della polizia

Articolo di FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA
Sembra un caso da manuale. Perfetto esempio per ragionare sull’infernale tema della giustizia spettacolarizzata. E’ giusto che la videoregistrazione dell’interrogatorio al biondino romeno, Alexandru Loyos, ripreso a sua insaputa mentre parla al magistrato in una stanza della questura di Roma, finisca sui siti Internet? E’ normale che sia trasmesso da Bruno Vespa in una ottima puntata di «Porta a Porta» e che si anticipi il processo stesso a Loyos, che ormai deve rispondere solo di una presunta calunnia ai danni del suo amico Karol? Si badi che il video sarà il cuore del futuro processo. Uno di quei documenti che dovrebbe essere a conoscenza delle parti, cioè il sostituto procuratore che conduce l’inchiesta e gli avvocati. Loro e soltanto loro, almeno in questa fase. Ma due giorni fa a divulgarlo ci ha pensato la polizia, punta sul vivo dall’accusa di avere picchiato i due fermati. E in un momento in cui, per di più, si studiano norme restrittive sulla pubblicazione di documenti processuali.

Evidente il senso della mossa. Dice agli italiani: guardatelo quanto è calmo, quanto è lucido, come risponde tranquillo a un magistrato, altro che botte. Epperò i legali dei due romeni ci sono rimasti male. Quel video, loro, non l’avevano nemmeno prelevato. Accortezza inutile. Da due giorni è già su tutti i monitor. «Sono assolutamente contrario - insorge il senatore Carlo Vizzini, Pdl, presidente della commissione Affari costituzionali - che si violino le norme su materie così delicate. Penso alla giustizia anglosassone, che non permette l’ingresso delle telecamere nelle aule di giustizia, tanto che i giornali tradizionalmente ricorrono ai disegnatori... Figurarsi atti d’indagine. Atti che assolutamente non devono circolare. Per me è un fatto di civiltà e di garanzie». «Quest’inchiesta - dice a sua volta Luca Palamara, presidente dell’associazione nazionale magistrati - insegna una sola cosa: quanto sia difficile la valutazione della prova. A noi sembra un monito arrivato al momento giusto. Ci dice di fare attenzione a squilibrare il rapporto tra polizia e magistratura... A prescindere dalla singola inchiesta, penso che la polizia stessa abbia tutto l’interesse ad avere al fianco la magistratura fin dal primo passaggio delle indagini». E dell’inquirente virtuale Vespa, l’inquirente vero Palamara che pensa? «Una volta di più, in televisione si svolge un processo in parallelo a quello reale».

Storce il naso anche un magistrato illustre prestato alla politica come Felice Casson, senatore Pd. «Quel video in tv secondo me è un fatto grave. Ma devo dire che a margine di quest’inchiesta si continuano a verificare comportamenti poco piacevoli da parte degli investigatori. Non c’è nessun rispetto per le persone. Già mi sembrava sbagliata la conferenza stampa dell’arresto: forte l’ispirazione politica, fortissima la necessità di sbattere il mostro in prima pagina. Non mi era piaciuta la sottolineatura che li avevano arrestati senza bisogno di intercettazioni telefoniche... E invece ne avessero fatte! Forse non si sarebbe giunti a questo punto». Magistrati e politici, si sa, litigano quasi su tutto. Destra e sinistra, poi, non vanno mai d’accordo. Questa volta, invece, sembrano tutti d’accordo che la polizia, nella foga di discolparsi, l’ha fatta grossa. E’ molto ferma la reazione di Enrico Costa, deputato di Forza Italia, avvocato. Sta conducendo per conto del suo partito la battaglia per ridimensionare l’uso delle intercettazioni e ridurre la cronaca giudiziaria. «Anche questo episodio, che non mi è piaciuto per nulla - dice - rientra nel grande tema della spettacolarizzazione della giustizia. Proprio ciò che intendiamo impedire perché si vanno immancabilmente a ledere i diritti delle persone indagate. Diciamola tutta: i processi in tv sono sommari. È per questo che gli atti devono restare nell’ambito delle aule di giustizia. Un conto è il diritto di cronaca, altro è l’estrapolazione da parte dei media. Sono sempre più convinto che i documenti processuali non devono uscire dalle aule».

Stupro Caffarella: polemiche sulla trasmissione del video in tv

Da Adnkronos ultimo aggiornamento: 12 marzo, ore 17:38
Cronaca
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Alfano: ''Sul filmato valuteremo con gli uffici''
Stupro Caffarella, indagine su video del 'biondino'.

Racz ricorre al Riesame per violenza Primavalle

Maroni: ''No alla spettacolarizzazione di queste vicende per soddisfare la sete di voyeurismo di molti cittadini''. Domani l'udienza di convalida per le nuove accuse a Loyos di calunnia aggravata, autocalunnia e favoreggiamento. Mentre secondo indiscrezioni l'esame del Dna avrebbe dato ragione al 'pugile' anche per l'aggressione in via Andersen a una donna di 41 anni

Roma, 12 mar. (Adnkronos/Ign) - Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, disporrà ''una verifica'' dopo la trasmissione televisiva del video della confessione di Alexandru Loyos, uno dei due romeni al centro delle indagini per lo stupro della Caffarella. Ad annunciarlo è stato lo stesso Maroni. ''E' sbagliata - ha rilevato il responsabile del Viminale - la spettacolarizzazione di queste vicende, perché una persona, anche se è un presunto criminale, merita sempre rispetto e c'è la presunzione di innocenza fino a che non è definitivamente condannato''.

''Farò una verifica su quello che è successo. Credo che non sia giusto né opportuno - ha concluso Maroni - mostrare documenti di questo tipo in televisione solo per soddisfare la sete di voyeurismo di molti cittadini''.

Sulla vicenda del video trasmesso in tv e finito su internet è intervenuto anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. ''Fa parte delle cose che non dovrebbero accadere - ha detto il Guardasigilli - valuteremo con gli uffici''.

Il giudice dell'udienza preliminare di Roma Filippo Steidl deciderà domani se convalidare il provvedimento con il quale la Procura della Repubblica ha disposto due giorni fa il nuovo fermo di Alexandru Loyos, ipotizzando per lui i reati di calunnia aggravata, autocalunnia e favoreggiamento.

Questo provvedimento, come è noto, ha bloccato l'efficacia della decisione presa dal Tribunale del Riesame che, annullando l'ordine di custodia cautelare emessa nei confronti di Loyos per quanto riguarda l'aggressione e la violenza di San Valentino, ne aveva disposto la scarcerazione ''se non detenuto per altra causa''. L'udienza di convalida, cui parteciperà il pubblico ministero Vincenzo Barba al quale è affidata l'indagine, comincerà alle 11.30 nel carcere di Regina Coeli.

Mentre Karol Racz, l'altro romeno scagionato per lo stupro avvenuto alla Caffarella, ha presentato un ricorso al Tribunale del Riesame sollecitando la revoca del provvedimento con il quale lo si accusa d'aver violentato il 21 gennaio scorso in via Andersen a Primavalle una donna di 41 anni. Il ricorso è stato presentato oggi dal difensore del romeno, avvocato Lorenzo La Marca, ed è probabile che la questione venga discussa la prossima settimana.

Secondo indiscrezioni circolate in questi giorni, l'esame del Dna fatto nell'ambito dell'indagine su questo stupro avrebbe dato esiti favorevoli a Racz, dimostrando la sua estraneità alla vicenda. Negli ambienti della Procura comunque si sottolinea che fino ad oggi il perito incaricato dell'indagine non ha ancora riferito al pubblico ministero Nicola Maiorano al quale è affidata l'inchiesta l'esito delle sue indagini tecnico-scientifiche. Il termine fissato per la consegna dei risultati delle indagini scadrà infatti soltanto tra 15 giorni.

sabato 14 febbraio 2009

Roma, quindicenne violentata da due stranieri

Il giorno di san Valentino si dovrebbe festeggiare l'amore fra due persone che si sono liberamente scelte, invece anche oggi la cronaca ci restituisce la crudezza della realtà di ogni giorno, intriso di violenza contro le donne, come si trattasse di fatti non più degni di interesse.
Accade allora che possano essere perpetrati crimini sessuali fra l'indifferenza generale, come se salvare una donna da una violenza non rientrasse fra i concetti di solidarietà per il proprio simile, come se l'altruismo fosse una parola sconosciuta ai più, come se il Male avesse raggiunto il suo culmine quasi incontrastato se non da eroi ammaccati e fuori dal tempo.
Gli uomini, quelli veri, che rinnegano la violenza e sanno conquistare con l'intelligenza, la sensibilità, il fascino, la tenerezza, oggi si riprendano lo status infangato dai loro simili attraverso prodezze criminali, riscattino il genere maschile con comportamenti di vera umanità.

Da Ilmessaggero.it del 14.02.2009 sezione cronaca Roma

Roma, 15enne stuprata alla Caffarella
Malmenato e derubato il fidanzatino



ROMA (14 febbraio) - Un ragazzo e una ragazza 15enni sono stati aggrediti vicino al parco della Caffarella. La ragazza è stata violentata. La coppia è stata anche derubata di denaro e telefoni cellulari.

I due quindicenni hanno raccontato di essere stati aggrediti da due uomini durante una passeggiata. Secondo i ragazzi si trattava di stranieri, di carnagione scura, probabilmente dell'Est. Dopo aver preso a schiaffi e spinto a terra il ragazzo, i due hanno immobilizzato e violentato la ragazza, fuggendo dopo averli derubati. I ragazzi hanno chiesto aiuto al titolare di un bar vicino, in via Amedeo Crivellucci, che ha chiamato la polizia. Immediati i soccorsi degli agenti e del 118, che hanno portato i due quindicenni al San Giovanni.

Dall’agenzia Ansa.it del14.02.2009 ore
VIOLENZA SESSUALE: FIDANZATINI AGGREDITI A ROMA,ABUSI SU LEI
ROMA- Una coppia di ragazzi, lei 14 anni e lui 16 anni, sono stati aggrediti nel tardo pomeriggio da due persone, probabilmente dell'Est europeo. Sulla ragazza sono stati compiuti abusi da almeno uno dei due uomini che hanno trascinato la coppia nel parco della Caffarella sulla via Appia.

I due ragazzi, a quanto si è appreso, stavano passeggiando in via Latina, una strada residenziale nel quartiere Appio, quando sono stati avvicinati da due uomini, che secondo la prima testimonianza della coppia avevano un forte accento dell'est Europa. I due hanno trascinato la coppia nel vicino parco e lì hanno picchiato il ragazzo di 16 anni e abusato della ragazza di 14. Poi hanno portato via i loro cellulari. I due ragazzi ancora sconvolti e sotto choc, poco dopo, hanno chiesto aiuto entrando in un bar della zona in via Amedeo Crivellucci..

Bologna, violenza su una quindicenne, arrestato tunisino

Da Ilmessaggero.it del 14.02.2009

Bologna, quindicenne trascinata
tra i cespugli e stuprata
: arrestato tunisino
Il testimone: ho cercato di fermare alcuni passanti, ma sono rimasti tutti indifferenti. Lo stupratore era stato arrestato 2 volte

ROMA (14 febbraio) - L'ha presa a pugni e schiaffi dopo averla immobilizzata per trascinarla tra i cespugli e l'ha violentata. Una ragazza italiana di quindici anni è stata violentata ieri sera, poco dopo le 22, alla periferia di Bologna da un tunisino, che è stato poi arrestato dalla polizia. La ragazzina stava aspettando alcuni amici per strada, quando l'uomo si è avvicinato e dopo averla aggredita l'ha trascinata tra alcuni cespugli poco lontano dove è avvenuta la violenza.

Le urla terrorizzate della ragazza, che abita nel condominio di fronte al luogo della violenza, hanno richiamato l'attenzione di una persona che era in macchina vicino al luogo dell'aggressione. Quando la polizia è arrivata l'aggressione era in corso. L'uomo è scappato ma, rincorso a piedi e in macchina dagli agenti, è stato bloccato in una strada vicina e ha cercato di reagire violentemente.

Trentatre anni, clandestino, l'aggressore, Jamel Moamid, tunisino, in Italia da aprile, era già stato arrestato due volte: il 28 luglio per violazione dell'articolo 14 della legge sull'immigrazione e il 7 agosto per spaccio di eroina commesso nella stessa zona periferica dove è avvenuto lo stupro. L'uomo era poi stato rilasciato dal carcere di Lanciano (Chieti) il 15 gennaio scorso per revoca della custodia cautelare. Portato in questura, l'uomo avrebbe cercato di ferirsi ma ha rifiutato le cure mediche. Durante l'interrogatorio, non ha dato alcuna spiegazione della violenza. Dovrà rispondere di violenza sessuale, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale per i calci e pugni contro i poliziotti. Come ha riferito il pm Francesco Caleca, titolare dell'inchiesta, gli è stata contestata l'aggravante di clandestinità.

La ragazza è stata medicata anche al volto, dove ha riportato un trauma con infrazione delle ossa nasali per una prognosi di otto giorni. Ha detto di non aver mai visto prima lo stupratore. Ieri notte è stata visitata dai medici del pronto soccorso ginecologico dell'ospedale Maggiore. Nella struttura, creata ad hoc nel 2008 per aiutare le vittime di stupri, è scattato il protocollo previsto in questi casi, che offre il supporto medico-psicologico e legale.

Il racconto del testimone. Ha visto i calci, le botte e poi lo stupro. Solo dopo si è reso conto che quella ragazzina la conosceva bene: è un'amica di suo figlio, oltre che vicina di casa. Ma quando si è avvicinato con la macchina e ha chiesto aiuto, nessuno si è fermato, nè un passante a piedi nè qualche automobilista di passaggio. È il racconto all'Ansa del testimone dello stupro. Verso le 22 l'uomo - che ha chiesto di rimanere anonimo e che abita nella palazzina di fronte a quella della famiglia della vittima - era uscito di casa dopo una discussione con la moglie. «Ho deciso di fare un giro per sbollire il nervosismo - racconta - Ero in macchina quando ho visto, nel parco di fronte, un uomo che trascinava una donna, la prendeva a calci e pugni fino a farla cadere e poi si è abbassato i pantaloni. Allora ho avviato la macchina, ho fatto inversione di marcia e mi sono avvicinato. Nel frattempo ho chiamato il 113».

«I passanti? Tutti indifferenti» Lo stupro è avvenuto tra i cespugli di una zona semibuia di un parco che si trova davanti a una polisportiva, spesso luogo di ritrovo dei ragazzi del quartiere. In quel momento non c'erano altre persone nel parco che costeggia una strada abbastanza trafficata e separata solo dal marciapiede e da una recinzione. «Per fortuna una volante della polizia, che cercava un'auto rubata, era nelle vicinanze ed è arrivata in pochi minuti». Nonostante la presenza dell'uomo, lo straniero (di corporatura abbastanza robusta) non ha interrotto lo stupro se non alla vista dei poliziotti. Nel frattempo il testimone (che ha difficoltà a muoversi per un problema al ginocchio) ha cercato di fermare qualche passante ma inutilmente: «Incredibile il fatto che di fronte a un'aggressione a una donna, indipendentemente da chi sia, prevalga l'indifferenza. Questa è la cosa che mi ha colpito di più».

Bologna, stupra quindicenne, tunisino arrestato in flagranza

Dal Corrieredellasera.it del 14.02.2009
L'UOMO ERA GIÀ STATO ARRESTATO DUE VOLTE E POI RILASCIATO PER DECORRENZA DEI TERMINI
Bologna, stupra quindicenne in un parco: tunisino arrestato in flagrante da agenti
Scarcerato il 15 gennaio. Un passante ha chiamato la polizia: «Ho chiesto aiuto, ma nessuno si è fermato»

BOLOGNA - È stato arrestato in flagrante il tunisino di 32 anni che venerdì sera ha violentato una quindicenne in un parco nella periferia di Bologna. L'uomo ha avvicinato la ragazza, che stava aspettando degli amici in strada, l'ha afferrata colpendola con schiaffi al volto e, dopo averla trascinata nei giardini, l'ha stuprata. Un passante ha chiamato la polizia. Quando gli agenti sono arrivati il tunisino aveva già consumato un primo rapporto sessuale. L'uomo ha tentato la fuga seminudo, quindi è stato fermato e arrestato. Ha detto di chiamarsi Moamib Jamel, era già stato arrestato due volte in Italia, l'ultima per spaccio di eroina, ed era anche stato colpito da un ordine di espulsione. Era stato scarcerato il 15 gennaio per decorrenza dei termini.
TESTIMONE CONOSCE LA VITTIMA - Il testimone che ha permesso l'arresto del tunisino ha raccontato di aver visto l'uomo picchiare e poi stuprare la ragazza. Solo dopo si è reso conto che conosceva bene la vittima: è un'amica di suo figlio, oltre che vicina di casa. Ma quando si è avvicinato con la macchina e ha chiesto aiuto, nessun passante né automobilista si è fermato. Intorno alle 22 l'uomo, che abita nella palazzina di fronte a quella della famiglia della vittima, era uscito di casa dopo una discussione con la moglie. «Ho deciso di fare un giro per sbollire il nervosismo - racconta -. Ero in macchina quando ho visto, nel parco di fronte, un uomo che trascinava una donna, la prendeva a calci e pugni fino a farla cadere e poi si è abbassato i pantaloni. Allora ho avviato la macchina, ho fatto inversione di marcia e mi sono avvicinato. Nel frattempo ho chiamato il 113. Più tardi il fratello della ragazza mi ha detto che era uscita di casa per incontrare gli amici».
INDIFFERENZA DEI PASSANTI - In quel momento non c'erano altre persone nel parco che costeggia una strada abbastanza trafficata e separata solo dal marciapiede e da una recinzione. «Per fortuna una volante della polizia, che cercava un'auto rubata, era nelle vicinanze ed è arrivata in pochi minuti» ha detto il testimone. Nonostante la sua presenza, lo straniero non ha interrotto lo stupro se non alla vista dei poliziotti. Nel frattempo il testimone, che ha difficoltà a muoversi per un problema al ginocchio, ha cercato di fermare qualche passante ma inutilmente: «Incredibile il fatto che di fronte a un'aggressione a una donna, indipendentemente da chi sia, prevalga l'indifferenza. Questa è la cosa che mi ha colpito di più».

14 febbraio 2009

Violenza sulle donne: quotidiana e fra l'indifferenza generale

Dall’agenzia Adnkronos del 14.02.2009 ore 21.20


Il magrebino ha aggredito la giovane spingendola a forza dietro i cespugli
Bologna, minore stuprata tra l'indifferenza dei passanti. A Roma fidanzatini aggrediti, lei violentata


Il violentatore è un tunisino di 33 anni, scarcerato a gennaio per revoca della custodia cautelare. Un testimone ha chiesto aiuto ma nessuno si è fermato. Nella capitale due minorenni malmenati e rapinati nel parco della Caffarella. Lei, 14 anni, ha subito violenza sessuale
ultimo aggiornamento: 14 febbraio, ore 21:20
Bologna, 14 feb. (Adnkronos) - Picchiata e violentata mentre aspettava gli amici sotto casa. E' successo verso le 22 di ieri in zona San Vitale, alla periferia di Bologna. La vittima è una studentessa italiana 15enne. Mentre aspettava gli amici in strada è stata avvicinata da un tunisino clandestino di 33 anni, già noto alle forze dell'ordine, che l'ha malmenata con schiaffi e pugni e l'ha trascinata in mezzo alle erbacce dove l'ha violentata. Lei ha urlato, ha chiesto aiuto e ha tentato di liberarsi. Un residente della zona, un 44enne, ha sentito le urla della 15enne e ha chiamato il 113.

Poco dopo una volante ha bloccato il bruto mentre tentava di allontanarsi mezzo nudo a piedi. Il magrebino, fotosegnalato come Jamel Moamid, ha pure opposto resistenza e in questura si è procurato lesioni rifiutando poi le cure del 118. Dagli accertamenti della polizia è emerso che l'uomo è giunto in Italia nell'aprile del 2008, è stato arrestato per l'articolo 14 e nell'agosto dell'anno scorso era finito in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti. Era stato però scarcerato dal carcere di Lanciano il 15 gennaio scorso per revoca della custodia cautelare, dopo un ricorso al Riesame (e non per decorrenza dei termini, come era stato detto in un primo momento). Ora è nuovamente in carcere a disposizione del pm Francesco Caleca, che gli ha contestato la violenza sessuale e la resistenza a pubblico ufficiale.

Oggi il questore Luigi Merolla ha voluto incontrare personalmente gli agenti che hanno arrestato il tunisino e ha telefonato all'unico testimone che è intervenuto e che ha chiamato il 113. A tutti ha voluto manifestare la propria gratitudine per il lavoro svolto e per la preziosa collaborazione fornita. Il testimone è un vicino di casa della giovane violentata, poi costretta a ricorrere alle cure dei sanitari dell'ospedale Maggiore e giudicata guaribile in otto giorni.

L'uomo era in auto vicino al parco quando ha visto il magrebino che aggrediva la giovane e la spingeva a forza dietro dei cespugli nei pressi della recinzione del parco in quel momento deserto. Ha urlato, ha invitato lo sconosciuto a lasciare la vittima ma lui ha fatto finta di nulla.

In quel momento è passato un uomo a piedi, gli ha chiesto di aiutarlo perchè stavano violentando una ragazza ma questi gli avrebbe detto che non erano affari suoi e si sarebbe allontanato. Così come si sono allontanate due auto in transito senza prestare soccorso. Poi ha telefonato alla polizia che è giunta in pochi minuti bloccando il bruto.

martedì 27 gennaio 2009

Ris Parma: robot analizza tracce di sudore e inchioda lo stupratore

Da IlMattino.it del 27.01.09

Ris: analisi sul sudore grazie a un robot per scoprire lo stupratore

ROMA (27 gennaio) - Negli abiti o in qualsiasi altro frammento di tessuto o sulla pelle potrebbero nascondere elementi decisivi per risalire al colpevole di uno stupro. Tra questi il sudore che non sfugge a un robot primo nel suo genere in Europa e utilizzato dal Reparto dei carabinieri per le investigazioni scientifiche (Ris) di Parma.

«È uno strumento in più per affrontare la violenza sessuale», ha detto il comandante del Ris, Luciano Garofano, nel convegno sul disegno di legge per l'istituzione della banca dati del Dna organizzato da Comitato Nazionale per Biosicurezza, Centro di ricerca interdipartimentale Eclsc dell'università di Pavia e Policlinico San Matteo di Pavia.

Un cerotto sulla pelle della vittima. «Abbiamo sviluppato una tecnica fondata sul prelievo gentile», ha detto Garofano mostrando le immagini di un tampone grande come un cerotto applicato al collo della vittima di una violenza. Premuto sulla pelle, il tampone raccoglie le tracce di sudore lasciate dal violentatore o dall'omicida.

Caccia ai cromosomi. «Il sudore - spiega - è un liquido biologico interessante, le cui tracce vengono lasciate inconsapevolmente e nel quale si rilasciano cellule». Per trovarle, aggiunge Garofano, «abbiamo organizzato una linea analitica». I reperti vengono analizzati da un robot specializzato, con bracci meccanici che muovono provette e aggiungono solventi per trattare i campioni. Nel caso di una violenza di gruppo, oltre ai cromosomi sessuali si possono andare a cercare quelli non sessuali e trovare così il profilo genetico di tutti i responsabili.

Generalmente prelievi convenzionali. «Ritengo - ha rilevato - che non siamo sufficientemente preparati ad affrontare un problema come la violenza sessuale», indicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) come una questione di salute pubblica e prima causa di morte nelle donne fra 15 e 44 anni. «Generalmente - ha aggiunto Garofano - nei casi di violenza sessuale si fanno prelievi convenzionali e non si pensa a proteggere indumenti, mani o altri elementi sui quali potrebbero trovarsi altre tracce, come quelle di sudore». Bisognerebbe quindi intervenire in modo diverso sulla scena di una violenza sessuale, «anche attingendo a professionalità ancora rare in Italia, come infermieri forensi devoluti ad accogliere vittime così particolari».

Test del Dna, Banca dati Dna e violenze sessuali

Il test del Dna ha enorme valore scientifico, con un margine d’errore probabilisticamente inconsistente, permette l’identificazione di un colpevole attraverso il confronto con il suo profilo genetico e quelli rinvenuti sul luogo del delitto, inoltre se si riscontra la presenza di profili misti, sangue o altro materiale biologico dell’assassino e della vittima insieme, si ha la certezza della presenza sul luogo e di un contatto fra vittima e aggressore.
Se avessimo a disposizione una Banca dati del Dna della popolazione, sarebbe possibile, in primo luogo escludere gli innocenti e in secondo luogo identificare i colpevoli di reati.
Nel Nostro Paese siamo notevolmente arretrati in questo contesto poiché l’istituzione di una Banca dati Dna incontra molte resistenze in nome delle tutela della privacy dei cittadini.

Occorre ribadire con forza e chiarezza che le sequenze di Dna utilizzate per costruire un profilo genetico non contengono in alcun modo dati sensibili, che possano ricondurre per esempio alla conoscenza di malattie nel soggetto analizzato o altre informazioni: le sequenze sono scelte, per spiegare in maniera semplice, ma non esauriente dal punta di vista tecnico, fra quelle cosiddette ipervariabili che permettono soltanto di distinguere un individuo da un altro.

Secondo aspetto da considerare: alcuni reati, come le violenze sessuali o le rapine sono caratterizzati da serialità, ovvero chi commette il crimine è probabile che lo ripeta infinite volte, almeno finchè non sarà fermato e identificato.

A questo punto, che peso ha sulla nostra sicurezza la privacy contro uno strumento fondamentale per le attività di polizia giudiziaria come una Banca dati del Dna?
Se pensiamo che il crimine ha caratteristiche ormai transnazionali e che altri Paesi ci inviano profili genetici da comparare per individuare, ad esempio, persone sospettate di terrorismo o criminalità organizzata, come può rispondere il Nostro Paese?
Perché, con le punte di eccellenza nell’investigazione scientifica che pur ci appartengono, non vogliamo dotarci di questo strumento indispensabile per tutelare i cittadini? In nome di quale libertà? Quella dei colpevoli di reati?

Nei Paesi dagli Usa, alla Gran Bretagna, dove è in vigore la banca dati del Dna, gli autori di crimini seriali sono stati individuati e assicurati alla giustizia con un incremento esponenziale.
Quanto vogliamo ancora aspettare, quante donne e bambini dovranno ancora subire violenza in nome della garanzia della Privacy?

Banca Dati Dna: strumento efficace per combattere il crimini sessuali

Da Parma.Ok del 27.01.2009

Violenza sessuale, Garofano:
"Sì alla banca dati del Dna"


ROMA, 27 GENNAIO - Sì alla banca dati del Dna per individuare i responsabili di violenza sessuale, anche nel caso di stupri di gruppo.

Oggi a Roma il comandante dei Ris di Parma, Luciano Garofano, ha espresso la sua posizione.

Nel convegno sul disegno di legge per l'istituzione della banca dati del Dna, approvato dal Senato in dicembre e che ora dovrebbe approdare alla Camera, Garofano ha fatto riferimento all'efficacia dell'analisi del Dna nel caso dello stupro di Guidonia, come in altre vicende analoghe.

"Credo - ha detto - che al di là dei militari e delle telecamere, abbiamo nella banca dati un presidio più valido, capace di garantire la maggiore efficienza dell'apparato investigativo, processi più snelli, minori costi e migliori livelli di giustizia".


Da Adnkronos 27.01.09
SICUREZZA: GAROFANO (RIS), LA BANCA DATI DEL DNA ARMA CONTRO GLI STUPRI

Roma, 27 gen. - (Adnkronos) - La banca dati del Dna come arma "fondamentale" per contrastare gli stupri. Il comandante del reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Parma, Luciano Garofano, intervenendo sull'allarme stupri che si e' riacceso dopo i recenti episodi avvenuti nella capitale, ritiene che non ci sia piu' tempo da perdere. E, offrendo il suo contributo al convegno 'Quale banca del Dna per l'Italia?', organizzato oggi a Roma, il colonnello del Ris di Parma ha evidenziato come il Dna sia "fondamentale per questo tipo di reati visto che, anche inconsapevolmente, una violenza sessuale lascia una vasta offerta di tracce".
Intervenendo al dibattito, Luciano Garofano, promosso di recente al grado di colonnello, ha parlato dell'utilita' delle banche dati nelle investigazioni criminali. E, al riguardo, ha osservato che "va bene invocare militari e telecamere, ma la banca dati del Dna e' fondamentale per intervenire su questo tipo di reati. Oltretutto sarebbe anche meno dispendiosa. Ci siamo trovati di fronte a diverse violenze sessuali, anche di gruppo, e abbiamo fatto centinaia e centinaia di confronti, risolvendo i casi magari dopo un anno o due dai fatti quando i soggetti erano pregiudicati". Per ora l'istituzione della banca dati nazionale del Dna ha ricevuto l'approvazione al Senato lo scorso 22 dicembre.

lunedì 26 gennaio 2009

Delitto Meredith Kercher: depositate motivazioni sentenza per Rudy Guede

Dall'agenzia Ansa.it del 26.01.2009 ore 21.12

MEREDITH: PARTECIPAZIONE ATTIVA DI GUEDE
PERUGIA - Rudy Guede "partecipò attivamente all'aggressione" che ha portato all'omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Lo scrive il gup del capoluogo umbro Paolo Micheli nelle motivazioni della condanna a 30 anni di reclusione inflitta all'ivoriano con il rito abbreviato. Un articolato provvedimento depositato questa sera. Secondo il giudice, che ha rinviato a giudizio Raffaele Sollecito e Amanda Knox, comunque "la condotta criminosa fu posta in essere in concorso tra più autori". Il gup ritiene inoltre "pacifica" una "aggressione sessuale".

KNOX FECE ENTRARE GUEDE IN CASA - Rudy Guede entrò nella casa di via della Pergola dove venne uccisa Meredith Kercher "perché ce lo fece entrare qualcun altro" e questi "altri non può essere" se non Amanda Knox. E' la ricostruzione che emerge dalle motivazioni con le quali il gup di Perugia ha condannato l'ivoriano a 30 anni di reclusione. Secondo il giudice non è credibile la versione di Guede di essere entrato nell'appartamento con il benestare della vittima. Il gup rileva poi che "se i segni di effrazione (trovati su una finestra della camera di una delle coinquiline - ndr) furono successivi alla morte della ragazza, se Rudy era in quella casa nello stesso contesto in cui vi era qualcuno che avrebbe poi manifestato l'interesse a far credere a un ingresso di ignoti malviventi, l'unica conclusione è che il Guede entrò in via della Pergola 7 perché ce lo fece entrare qualcun altro, titolare dell'interesse appena descritto (che altri non può essere se non la Knox)".

PIANO PER ISTINTI SESSUALI POI OMICIDIO - Parla di un "piano concordato per soddisfare istinti sessuali" poi sfociato verso una "intenzione omicida" il gup di Perugia Paolo Micheli motivando la condanna a 30 anni di reclusione inflitta a Rudy Guede. Il giudice ritiene quindi sussistente il concorso dell'ivoriano ma anche di Raffaele Sollecito e di Amanda Knox nei reati di omicidio e violenza sessuale. Nelle motivazioni della condanna il gup sottolinea che "la modifica di programmazione verso l'intenzione omicida (che indubbiamente si verificò in un momento successivo all'ingresso in scena del coltello, utilizzato in prima battuta per fini di minaccia all'emergere della reazione della vittima) venne accolta, accettata e perseguita da tutti dato che si mantennero coprotagonisti di una condotta che si prolungò ben oltre l'apparizione dell'arma". Secondo il giudice "nessuno scappò prima o cercò di fermare gli altri, né di sollecitare soccorsi, né manifestò dissenso rispetto a quella progressione criminosa". Per il giudice "ci si trova pertanto dinanzi ad un accordo criminoso da ritenere genetico quanto alla violenza sessuale".

Secondo la ricostruzione del gup Meredith venne colpita inizialmente con il coltello, ma non ferita mortalmente, quando era ancora in piedi (il delitto avvenne nella sua camera da letto). Circostanza provata - si legge nelle motivazioni - dalle macchie di sangue individuate sulla scrivania. Venne quindi spinta all'indietro - ritiene ancora il giudice - fino ad assumere la posizione supina nella quale "ebbe inizio la serie di toccamenti materialmente da riferirsi proprio a Guede". Il gup parla quindi di una "escalation di violenza non più controllata dinanzi alla reazione o alle grida di Meredith" culminata con un colpo letale sul lato del collo.

DIFENSORI SI RISERVANO COMMENTO A MOTIVAZIONI - Si riservano ogni commento "dopo una attenta lettura delle motivazioni" i difensori di Rudy Guede, gli avvocati Walter Biscotti e Nicodemo Gentile. I legali hanno già annunciato appello contro la sentenza. Guede si è infatti proclamato sempre estraneo a ogni addebito.



Da IlMessaggero.it del26.01.2009

Meredith, gup: «Rudy non è credibile,
ecco come partecipò all'omicidio»

«Un piano concordato a fini sessuali sfociato in tragedia»


PERUGIA (26 gennaio) - Rudy Guede «partecipò attivamente all'aggressione» che ha portato all'omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Così il gup di Perugia Paolo Micheli motiva la condanna a 30 anni di reclusione inflitta a Rudy Guede nel processo per l'omicidio di Meredith Kercher avvenuto a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre del 2007. Il gup, che ha rinviato a giudizio Raffaele Sollecito e Amanda Knox, parla di un «piano concordato per soddisfare istinti sessuali» poi sfociato verso una «intenzione omicida». Il giudice ritiene quindi sussistente il concorso dell'ivoriano ma anche di Raffaele Sollecito e di Amanda Knox nei reati di omicidio e violenza sessuale. Il gup ritiene inoltre «pacifica» una «aggressione sessuale».

Nessuno manifestò dissenso. Nelle motivazioni della condanna il gup sottolinea che «la modifica di programmazione verso l'intenzione omicida venne accolta, accettata e perseguita da tutti dato che si mantennero coprotagonisti di una condotta che si prolungò ben oltre l'apparizione dell'arma». Secondo il giudice «nessuno scappò prima o cercò di fermare gli altri, né di sollecitare soccorsi, né manifestò dissenso rispetto a quella progressione criminosa». Per il giudice «ci si trova pertanto dinanzi ad un accordo criminoso da ritenere genetico quanto alla violenza sessuale».

Prima ferita con il coltello. Secondo la ricostruzione del gup Meredith venne colpita inizialmente con il coltello, ma non ferita mortalmente, quando era ancora in piedi (il delitto avvenne nella sua camera da letto). Circostanza provata - si legge nelle motivazioni - dalle macchie di sangue individuate sulla scrivania. Venne quindi spinta all'indietro - ritiene ancora il giudice - fino ad assumere la posizione supina nella quale «ebbe inizio la serie di toccamenti materialmente da riferirsi proprio a Guede». Il gup parla quindi di una «escalation di violenza non più controllata dinanzi alla reazione o alle grida di Meredith» culminata con un colpo letale sul lato del collo.

Rudy Guede entrò nella casa di via della Pergola dove venne uccisa Meredith «perché ce lo fece entrare qualcun altro» e questi «altri non può essere» se non Amanda Knox. Secondo il giudice non è credibile la versione di Guede di essere entrato nell'appartamento con il benestare della vittima. Il gup rileva poi che «se i segni di effrazione (trovati su una finestra della camera di una delle coinquiline - ndr) furono successivi alla morte della ragazza, se Rudy era in quella casa nello stesso contesto in cui vi era qualcuno che avrebbe poi manifestato l'interesse a far credere a un ingresso di ignoti malviventi, l'unica conclusione è che il Guede entrò in via della Pergola 7 perché ce lo fece entrare qualcun altro, titolare dell'interesse appena descritto (che altri non può essere se non la Knox)».

Cogne bis: ancora riflettori su Annamaria Franzoni

Dall'agenzia Ansa.it del 26.01.2009 ore 15.34

COGNE: PROCURA, FRANZONI A GIUDIZIO
Accusa, tento' di inquinare prove durante sopralluogo villetta
(ANSA) - TORINO, 26 GEN - Anna Maria Franzoni a giudizio per calunnia. E' quanto chiede la Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta Cogne-bis. L'accusa si riferisce ad un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto durante un sopralluogo del 2004 nella villetta di Cogne. Oltre che per la Franzoni, la Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio, per frode processuale, di Eric Durst, il consulente svizzero che, secondo l'accusa, ha messo una falsa impronta nella casa di Cogne.

Da la Repubblica .it

La donna, che sta scontando 16 anni per l'omicidio del figlio
dovrà ora fronteggiare l'accusa di aver cercato di creare false prove
"Franzoni a giudizio per calunnia"
La richiesta della Procura di Torino
Archiviazione per Taormina. Chiesto il processo anche per il perito
che lasciò un'impronta nel garage cercando di costruire false prove

Articolo di MEO PONTE

TORINO - Anna Maria Franzoni a giudizio per calunnia. E' quanto chiede la Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta Cogne-bis per un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto durante un sopralluogo del 2004 nella villetta di Cogne.

Oltre che per la Franzoni, la Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio, per frode processuale, di Eric Durst, il consulente svizzero che, secondo l'accusa, ha messo una falsa impronta nella casa di Cogne.

Chiesta invece l'archiviazione di tutti gli altri nove indagati, tra cui l'avvocato Carlo Taormina.
"Pur essendoci degli elementi indiziari a carico degli imputati - ha spiegato il pm Marcello Maddalena in una conferenza stampa - gli elementi raccolti sono contraddittori e, a giudizio della procura, non consentono di sostenere l'accusa in dibattimento. In ogni caso se l'ordinamento prevedesse la calunnia colposa non avremmo avuto nessun dubbio nel chiedere il rinvio a giudizio".

Nella richiesta di archiviazione, che è composta da 81 pagine, si sottolinea però che "sussistono margini di rilevanza sotto il profilo civile per una eventuale valutazione di responsabilità ".

Il fascicolo della Procura di Torino si riferisce a un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto: il 28 luglio 2004 un gruppo di consulenti di Taormina (italiani e svizzeri) fecero un sopralluogo nella villetta di Cogne in cui due anni prima venne ucciso il bambino, e trovarono tracce che, qualche giorno dopo, portarono a una denuncia che adombrava il coinvolgimento di un guardaparco valdostano, Ulisse Guichardaz.

Una denuncia-boomerang, quella firmata da Anna Maria Franzoni che per il delitto del figlio Samuele ha avuto la condanna confermata in Cassazione a 16 anni di carcere, perchè le indagini portarono gli inquirenti a sospettare una manipolazione delle prove: da qui l'apertura di un procedimento per calunnia e frode processuale.

I periti del gip Pier Giorgio Gosso (compresi degli esperti dell'Fbi) dissero che in alcune delle trentacinque macchie rilevate dalla squadra di Taormina c'era dell'idrossiapatite, sostanza difficilissima da reperire in natura: questo portava a pensare che qualcuno avesse seminato delle macchie per simulare la fuga dell'assassino. Ma questa versione è stata smontata dal medico legale Carlo Torre: è stato lui a dimostrare che, quasi certamente, si trattava di

semplici escrementi di cane.

Tra gli indagati di cui è stata chiesta l'archiviazione ci sono, tra gli altri, il marito della Franzoni, Stefano Lorenzi, e i consulenti di parte Claudia Sferra ed Enrico Manfredi.


Da IlMessaggero.it del 26.01.2009

Cogne, nuovi guai per la Franzoni:
chiesto il processo per calunnia
La procura di Torino: tentò di inquinare la scena del delitto
Chiesta l'archiviazione per l'avvocato Carlo Taormina

TORINO (26 gennaio) - Anna Maria Franzoni a giudizio per calunnia. È quanto chiede la Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta Cogne-bis per un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto durante un sopralluogo del 2004 nella villetta di Cogne. La donna, che sconta 16 anni per l'omicidio del piccolo Samuele, avrebbe inquinato alcune prove, insieme al suo consulente svizzero, Eric Durst, rinviato anche lui a giudizio per frode processuale. Lo scopo: depistare le indagini e coinvolgere nell'inchiesta una terza persona.

Chiesta archiviazione per Taormina. Chiesta invece l'archiviazione di tutti gli altri nove indagati, tra cui l'avvocato Carlo Taormina. «Pur essendoci degli elementi indiziari a carico degli imputati - ha spiegato il pm Marcello Maddalena - gli elementi raccolti sono contraddittori e, a giudizio della procura, non consentono di sostenere l'accusa in dibattimento. In ogni caso - ha precisato il magistrato - se l'ordinamento prevedesse la calunnia colposa non avremmo avuto nessun dubbio nel chiedere il rinvio a giudizio». Del resto, nelle 81 pagine della richiesta, si sottolinea come «sussistono margini di rilevanza sotto il profilo civile per una eventuale valutazione di responsabilità».

Da IlGiorno.it del 26.01.2009

INCHIESTA 'COGNE BIS'
Chiesto il rinvio a giudizio per la Franzoni
La Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per il reato di calunnia ai danni di Ulisse Guichardaz nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta ‘Cogne bis’


Torino, 26 gennaio 2009 - La Procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio di Annamaria Franzoni per il reato di calunnia ai danni di Ulisse Guichardaz nell’ambito dell’inchiesta cosiddetta ‘Cogne bis’. Nello stesso procedimento è stato chiesto il rinvio a giudizio per frode processuale nei confronti di uno dei tecnici della difesa di Annamaria Franzoni, Eric Durst. I magistrati torinesi hanno invece chiesto l’archiviazione per tutti gli altri indagati, tra i quali ci sono anche il marito della Franzoni, Stefano Lorenzi, e l’ex avvocato della donna, Carlo Taormina.

L’inchiesta era stata avviata nel novembre del 2004 a seguito della denuncia nei confronti di Guichardaz da parte della Franzoni, poco dopo la condanna in primo grado emessa a carico della mamma del piccolo Samuele Lorenzi, ucciso a Cogne il 30 gennaio del 2002. La Procura di Torino ipotizzava una presunta falsificazione delle prove nell’ambito delle indagini difensive condotte dai legali della Franzoni e dai loro consulenti.

"Pur essendoci elementi indizianti, abbiamo ritenuto che il quadro fosse contraddittorio e non consentisse di sostenere l’accusa a dibattimento". È quanto ha dichiarato il procuratore Marcello Maddalena a proposito delle nove richieste di archiviazione nell’ambito del procedimento "Cogne bis". Maddalena, che ha condotto le indagini con i magistrati Anna Maria Loreto e Giuseppe Ferrando, ha parlato di "oggettiva incertezza" aggiungendo che "se ci fosse ancora la formula dell’insufficienza di prove sarebbe stato questo il caso in cui utilizzarlo" e che "se l’ordinamento precedesse la calunnia colposa non avremmo avuto dubbi sul rinvio a giudizio anche di altri indagati".

Sulla richiesta di rinvio a giudizio di Anna Maria Franzoni ha pesato la condanna per omicidio confermata in appello e anche in Cassazione emessa nei confronti della mamma di Samuele Lorenzi, e, dunque, la consapevolezza che la donna, in quanto colpevole, avrebbe avuto nel momento in cui sporgeva denuncia per omicidio nei confronti di Guichardaz.

"Esistono sicuramente margini di possibile rilevanza sotto il profilo della responsabilità civile - ha detto Maddalena citando la conclusione dell’ordinanza con la quale la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio - verso chi ha oggettivamente calunniato il povero Guichardaz".
fonte agi

Facebook: dopo la mafia, ora anche i fan dello stupro di gruppo

Da LaStampa.it del 26.01.2009

LA POLEMICA
Sul Web i fan degli stupri di gruppo
La politica: regolamentare Facebook

Online il gruppo che esalta la violenza Schifani: "Ora dobbiamo intervenire" Veltroni: la pagina va chiusa subito
TORINO
Mentre la politica si divide sul tema della sicurezza e tre nuovi casi di violenze alimentano la polemica sulle città «pericolose», su Facebook nasce un gruppo a favore dello stupro di gruppo. Una goliardata che riscuote pochissimo successo- un solo fan dichiarato- ma che riesce a scatenare un vespaio intorno al social network più famoso del mondo. Il primo ad accorgersi della pagina, dopo la segnalazione di un lettore, è Walter Veltroni. «È una vergogna, quel gruppo su Facebook va chiuso» dice il segretario del Pd. L’allarme di Veltroni rimbalza sul sito, e subito i “naviganti” si scagliano contro il creatore della pagina. «Sei uno schifo di persona» scrivono. E piovono insulti.

Sul tema arriva anche il monito del presidente del Senato Schifani: «Credo che sia giunto il momento che il Senato non solo segnalial governo la delicatezza della questione di gruppi che su siti internazionali inneggiano alla violenza sulle donne o di sostegno a personaggi della mafia, ma che si attivi subito». Come? Regolamentando il sito, dice Gabriella Carlucci, cancellando «d’imperio i gruppi più offensivi e pericolosi». Secondo la vicepresidente della Commissione Bicamerale per l’infanzia «le donne italiane, vittime di abusi carnali, devono essere difese e tutelate. Dopo l’apologia della mafia i fan dello stupro di gruppo. Il social network più famoso del mondo sta diventando sempre di più un luogo virtuale dove impera l’illegalità ma soprattutto l’impunità». Sulla pagina dei fan degli stupri, intanto, sale l’indignazione, ma il gruppo non scompare.

«E' inaccettabile che su Facebook vi sia una community che si dice fan dello stupro ed è dovere degli amministratori del social network cancellarlo immediatamente». Lo dichiara in una nota Silvana Mura, deputata di Idv. «Il fenomeno della violenza sulle donne - aggiunge - è originato in gran parte da stereotipi culturali molto radicati nel tempo. E' necessario dunque impedire ogni forma di pubblicità che possa continuare a rafforzare questi stereotipi. Spetta a chi gestisce il social network vigilare sui contenuti che in esso vengono pubblicati, altrimenti deve essere la polizia postale ad intervenire di ufficio per oscurare qualsiasi contenuto che configuri apologia di reato o istigazione a delinquere».

«È intollerabile che Facebook ospiti gruppi che inneggiano alla criminalità e agli stupri». Lo dice il senatore del Pd Vincenzo Vita. «Senza nulla togliere alla libertà della rete - continua Vita - va detto che Facebook è una comunità specifica che non può non avere sue forme di regolazione. Non è pensabile, quindi, che si possa sorvolare su una vicenda tanto grave».




Da IlGiorno.it 26.01.2009

VIOLENZA CONTRO LE DONNE
L'appello di Veltroni a Facebook:
"Togliete i fan dello stupro di gruppo"
Il segretario del Pd si fa portavoce di una protesta che corre online: "E' una vergogna, quel gruppo su Facebook va chiuso, è apologia della violenza, un' istigazione contro le donne”


Roma, 26 gennaio 2009 - Da Facebook tolgono le foto delle mamme che allattano (giudicate forse scandalose) ma poi lasciano cose ben più gravi e scabrose. Ad esempio il gruppo dei "Fan dello stupro di gruppo": cosa che solo a pronunciarla fa tremare le vene nei polsi.
A chiedere a gran voce di cancellare da Facebook i tifosi dei branchi di stuprarori è Il segretario del Pd Walter Veltroni: "E' una vergogna, quel gruppo su Facebook va chiuso”, affermafacendo suo l’ allarme arrivato da molti utenti, e diffondendolo fra i tanti amici del suo profilo Facebook.

L`allarme nasce dal formarsi su Facebook di un gruppo che si autodefinisce ‘Fan degli stupri di gruppo’: “una vera e propria apologia della violenza - continua il leader del Pd - un' istigazione contro le donne”.

Moltissimie, insieme a Veltroni, le adesioni alla richiesta di una chiusura immediata, come era avvenuto qualche settimana fa con i profili Facebbok che inneggiavano a Totò Riina e alla mafia.