mercoledì 18 marzo 2009

Le confessioni devono essere confermate: uso del test dna

Anche il Corriere della sera .it, oggi, si occupa del caso dell'inglese ingiustamente condannato anche se reo confesso di omicidio.
Ancora una prova dell'utilità del test del Dna sia per identificare i colpevoli di reati che per scagionare gli innocenti

CONDANNATO ALL'ERGASTOLO PER OMICIDIO ERA INNOCENTE
Scagionato dopo 27 anni dal test del dna
L'uomo, malato mentale, aveva confessato l'omicidio



LONDRA - «E' bellissimo essere nuovamente libero, sono estasiato» ha affermato Sean Hodgson, l'uomo accusato dell'omicidio di una ventiduenne, Teresa de Simone, strangolata nella sua auto in un parcheggio di Southampton nel 1979. Hodgson, che soffre di gravi disturbi mentali, era stato condannato all'ergastolo nel 1982 anche perchè si era dichiarato più volte colpevole ma secondo la difesa l'uomo sarebbe un bugiardo cronico e le sue affermazioni sarebbero state false.
In seguito alla richiesta degli avvocati, quindi, il caso è stato riesaminato nello scorso novembre e dopo ventisette anni l'esame dna lo ha scagionato. All'epoca dell'0micidio i test non erano ancora in uso e l'appello presentato dalla commissione per la revisione delle pene non è stato contestato dalla procura in modo da garantire la rapida scarcerazione dell'uomo. Sean Hodgson è una delle persone rimaste più a lungo in una prigione di Sua Maestà a causa di un errore giudiziario

18 marzo 2009

Londra:Test Dna scagiona innocente dopo 27 anni

Giunge da Londra la notizia di un test del dna eseguito su un condannato all'ergastolo per omicidio e stupro che dimostra l'innocenza dell'indagato e apre le porte del carcere dopo 27 anni.
Il test del Dna si dimostra risolutivo nell'identificazione di un sospettato di un crimine, quando si abbiano a disposizione tracce biologiche conservate correttamente dopo quasi trentanni. Con le nuove tecnologie a disposizione nelle indagini scientifiche sarà possibile risolvere dubbi e dissipare certezze non scientificamente fondate

Da LaStampa.it
18/3/2009 (14:55) - LA STORIA
Rilasciato dopo 27 anni di carcere
Il test del Dna conferma: è innocente


Era stato condannato all'ergastolo
per l'omicidio di una 22enne
LONDRA
Un uomo che ha trascorso 27 anni in prigione per l’omicidio di una barista, è stato scarcerato in seguito ad un test del Dna che ne avrebbe dimostrato l’innocenza. Sean Hodgson, 58 anni, era stato condannato all’ergastolo nel 1982 per aver strangolato la 22enne Teresa de Simone nella sua auto in un parcheggio di Southampton, nel dicembre del 1979.

I test del Dna non erano ancora in uso all’epoca ed è stato soltanto nel novembre dello scorso anno che, in seguito ad una richiesta degli avvocati di Hodgson, il suo caso è stato riesaminato. L'uomo era stato arrestato perchè sulla scena del crimine erano state individuate tracce di sangue che corrispondevano al suo, ma soprattutto per le confessioni spontanee.

Hodgson, che soffre di problemi mentali, aveva infatti confessato diverse volte l’omicidio, ma secondo la difesa l’uomo sarebbe un bugiardo cronico e le sue affermazioni sarebbero state inventate. La procura britannica non ha contestato l’appello presentato dalla commissione per la revisione delle pene e Hodgson è tornato in libertà. Il suo è stato classificato come il peggior caso di errore giudiziario e potrebbe aprire la strada alla revisione di molte altre condanne, inflitte quando ancora non esistevano i test del Dna. L'unico caso paragonabile a quelo di Hodgson risale agli anni Settanta. Il diciassettenne Stephen Downing fu arrestato con l'accusa di aver ucciso a botte una donna, Wendy Sewell. Anche Downing, che continuava a proclamarsi innocente, fu condannato e rimase in carcere per ben 27 anni. Poi, grazie al test del Dna, venne rilasciato.

giovedì 12 marzo 2009

Stupro Caffarella e test del Dna: quando i risultati non sono quelli attesi


Da LaRepubblica.it Cronaca 12.03.09

Il retroscena. Le tracce analizzate sono di un egiziano
con cui la donna ebbe un rapporto sessuale la mattina
Stupro Primavalle, un altro mistero
il Dna sulla vittima non è di RaczLa sera, dopo l'agguato, si è lavata come ha potuto con acqua minerale

di CARLO BONINI

ROMA - Di come stiano le cose sembrano consapevoli tutti. E forse per questo tutti ne parlano malvolentieri. Lo si può dire in due parole: se l'inchiesta della Caffarella ha conosciuto un calvario, quella di Primavalle non promette nulla di meglio. Con una posta in gioco che, per altro, è cresciuta. Perché se Karol Racz non fosse lo stupratore della notte del 21 gennaio in via Andersen, la sua uscita dal carcere non dovrebbe attendere un minuto di più e anche la sua presenza, tre settimane dopo, sulla scena del crimine nel Parco della Caffarella perderebbe, a dispetto delle testimonianze, parte della sua plausibilità.

Se lo si chiede a Lorenzo La Marca, l'avvocato di Racz, la risposta è sorniona: "Il caso di Primavalle? Vedremo". Poi, con un sorriso: "Chiedere la scarcerazione al riesame? Non l'ho ancora fatto perché aspetto i test definitivi del dna...". La laconicità delle risposte dissimula la conoscenza di un'indiscrezione di cui gli investigatori sono al corrente da giorni. Che è questa: il dna sin qui estratto dalle tracce biologiche repertate sul corpo della vittima dello stupro di Primavalle non è quello di Racz. Al contrario, corrisponde con esattezza a quello di un altro uomo con cui la donna ebbe un rapporto sessuale consenziente la mattina del 21 gennaio. Il dettaglio non è decisivo, ma ha una certa rilevanza. Soprattutto, apre un nuovo enigma che se i risultati definitivi del lavoro della scientifica, tuttora in corso, non dovessero essere in grado di sciogliere (evidentemente con l'individuazione di altre tracce biologiche), promette di far ingarbugliare anche questo caso più di quanto già non lo sia.

Per quel che gli atti istruttori documentano, la donna vittima dello stupro racconta con comprensibile tormento che la mattina del 21 gennaio ha avuto nel suo appartamento un rapporto sessuale consenziente con un cittadino egiziano di cui la polizia ha accertato l'identità. Aggiunge di aver fatto una doccia prima di uscire di casa e di aver quindi trascorso l'intera giornata in commissioni, utilizzando i mezzi pubblici. Quindi, di essere stata aggredita la sera, nel tragitto a piedi tra la fermata dell'autobus di via Andersen e la sua abitazione. Sono in due e la sorprendono alle spalle. Uno solo di loro è l'uomo che abusa. Indossa un giaccone con il cappuccio tirato sulla testa. La donna, ferita, chiama un'amica e quindi soccorso. Si ripulisce come può con dell'acqua minerale prima di arrivare in ospedale, dove le viene certificata la violenza e prelevati i tamponi per l'esame del dna.


Il test, almeno in questa prima fase (gli esami completi si attendono per i prossimi giorni) individua il solo dna dell'uomo con cui la donna ha avuto rapporti al mattino. Possibile che sia rimasta solo quella traccia? Che una giornata sui mezzi pubblici e la violenza non ne abbiano lasciato di altre? E che l'acqua del mattino (la doccia) e della sera (la minerale) abbia lavato tutto, tranne un solo dna?

Alla Squadra mobile allargano le braccia. "Al momento, è così", dicono. E nella presa d'atto si coglie un segno di frustrazione che si comprende meglio alla luce di quel che accade dopo e intorno a quel primo test del dna. In un primo momento, la donna vittima della violenza non è in grado di fornire una descrizione precisa del suo aggressore. Se non per un particolare. E' un "uomo scuro" con gli incisivi ridotti a monconi anneriti. Poi, l'ultimo venerdì di febbraio, è nel carcere di Regina Coeli. Le vengono mostrati tre uomini che indossano un giaccone con il cappuccio tirato sulla testa. Uno di loro è Karol Racz, arrestato il 18 febbraio con l'accusa di essere uno dei due stupratori della Caffarella. La donna non dà segni di riconoscere tra loro il suo aggressore. Allora, agli uomini viene chiesto di togliere il cappuccio e, alla vista di Racz, la donna, prima di svenire, ha una crisi emotiva che scuote gli stessi magistrati presenti. La sua reazione, più che il condizionale delle parole che pure ripete quattro volte ("Direi che è lui. Mi sembrerebbe lui"), convince il pm Nicola Maiorano che il riconoscimento sia pieno. Che sia Racz l'uomo di via Andersen. Anche perché i suoi incisivi sono effettivamente martoriati come nel primo ricordo della vittima.

Quel che accade dopo è cronaca di questi giorni. Racz si dice innocente e offre per la notte del 21 gennaio un alibi. "Ero al campo", dice, chiamando a testimoni gli stessi rom che Loyos indicherà quali alibi per il pomeriggio della Caffarella. Amici di Racz e di suo fratello che - detto per inciso - viene arrestato come Karol, ma per altri motivi, il 18 febbraio e con lui è oggi a Regina Coeli. La donna, intervistata, ritratta in due diverse occasioni. Dice di non essere più certa del suo riconoscimento.

I video della Polizia sugli interrogatori: è giusto renderli pubblici?

Esistono situazioni in cui l'esibizione di prove video registrate può risultare non utile ai fini dell'accertamento del reale svolgimento dei fatti, il più possibile vicino alla ricerca della verità su un reato odioso come lo stupro. La prudenza e il rispetto delle norme processuali appaiono sempre più disattesi in nome di una visibiltà mediatica che soddisfa un bisogno di morbosa curiosità piuttosto che corretta informazione.
Indispensabile diventa l'esigenza di un'etica dell'informazione che sia effettivamente al servizio dei cittadini e non suddita dell'audience.


Da LaStampa.it
12/3/2009 (7:9) - RETROSCENA
"L'interrogatorio del biondino in tv,
è stato solo l'ultimo dei passi falsi"


Il video è stato trasmesso dalla trasmissione "Porta a Porta"

Critiche bipartisan sul video della polizia

Articolo di FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA
Sembra un caso da manuale. Perfetto esempio per ragionare sull’infernale tema della giustizia spettacolarizzata. E’ giusto che la videoregistrazione dell’interrogatorio al biondino romeno, Alexandru Loyos, ripreso a sua insaputa mentre parla al magistrato in una stanza della questura di Roma, finisca sui siti Internet? E’ normale che sia trasmesso da Bruno Vespa in una ottima puntata di «Porta a Porta» e che si anticipi il processo stesso a Loyos, che ormai deve rispondere solo di una presunta calunnia ai danni del suo amico Karol? Si badi che il video sarà il cuore del futuro processo. Uno di quei documenti che dovrebbe essere a conoscenza delle parti, cioè il sostituto procuratore che conduce l’inchiesta e gli avvocati. Loro e soltanto loro, almeno in questa fase. Ma due giorni fa a divulgarlo ci ha pensato la polizia, punta sul vivo dall’accusa di avere picchiato i due fermati. E in un momento in cui, per di più, si studiano norme restrittive sulla pubblicazione di documenti processuali.

Evidente il senso della mossa. Dice agli italiani: guardatelo quanto è calmo, quanto è lucido, come risponde tranquillo a un magistrato, altro che botte. Epperò i legali dei due romeni ci sono rimasti male. Quel video, loro, non l’avevano nemmeno prelevato. Accortezza inutile. Da due giorni è già su tutti i monitor. «Sono assolutamente contrario - insorge il senatore Carlo Vizzini, Pdl, presidente della commissione Affari costituzionali - che si violino le norme su materie così delicate. Penso alla giustizia anglosassone, che non permette l’ingresso delle telecamere nelle aule di giustizia, tanto che i giornali tradizionalmente ricorrono ai disegnatori... Figurarsi atti d’indagine. Atti che assolutamente non devono circolare. Per me è un fatto di civiltà e di garanzie». «Quest’inchiesta - dice a sua volta Luca Palamara, presidente dell’associazione nazionale magistrati - insegna una sola cosa: quanto sia difficile la valutazione della prova. A noi sembra un monito arrivato al momento giusto. Ci dice di fare attenzione a squilibrare il rapporto tra polizia e magistratura... A prescindere dalla singola inchiesta, penso che la polizia stessa abbia tutto l’interesse ad avere al fianco la magistratura fin dal primo passaggio delle indagini». E dell’inquirente virtuale Vespa, l’inquirente vero Palamara che pensa? «Una volta di più, in televisione si svolge un processo in parallelo a quello reale».

Storce il naso anche un magistrato illustre prestato alla politica come Felice Casson, senatore Pd. «Quel video in tv secondo me è un fatto grave. Ma devo dire che a margine di quest’inchiesta si continuano a verificare comportamenti poco piacevoli da parte degli investigatori. Non c’è nessun rispetto per le persone. Già mi sembrava sbagliata la conferenza stampa dell’arresto: forte l’ispirazione politica, fortissima la necessità di sbattere il mostro in prima pagina. Non mi era piaciuta la sottolineatura che li avevano arrestati senza bisogno di intercettazioni telefoniche... E invece ne avessero fatte! Forse non si sarebbe giunti a questo punto». Magistrati e politici, si sa, litigano quasi su tutto. Destra e sinistra, poi, non vanno mai d’accordo. Questa volta, invece, sembrano tutti d’accordo che la polizia, nella foga di discolparsi, l’ha fatta grossa. E’ molto ferma la reazione di Enrico Costa, deputato di Forza Italia, avvocato. Sta conducendo per conto del suo partito la battaglia per ridimensionare l’uso delle intercettazioni e ridurre la cronaca giudiziaria. «Anche questo episodio, che non mi è piaciuto per nulla - dice - rientra nel grande tema della spettacolarizzazione della giustizia. Proprio ciò che intendiamo impedire perché si vanno immancabilmente a ledere i diritti delle persone indagate. Diciamola tutta: i processi in tv sono sommari. È per questo che gli atti devono restare nell’ambito delle aule di giustizia. Un conto è il diritto di cronaca, altro è l’estrapolazione da parte dei media. Sono sempre più convinto che i documenti processuali non devono uscire dalle aule».

Stupro Caffarella: polemiche sulla trasmissione del video in tv

Da Adnkronos ultimo aggiornamento: 12 marzo, ore 17:38
Cronaca
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Alfano: ''Sul filmato valuteremo con gli uffici''
Stupro Caffarella, indagine su video del 'biondino'.

Racz ricorre al Riesame per violenza Primavalle

Maroni: ''No alla spettacolarizzazione di queste vicende per soddisfare la sete di voyeurismo di molti cittadini''. Domani l'udienza di convalida per le nuove accuse a Loyos di calunnia aggravata, autocalunnia e favoreggiamento. Mentre secondo indiscrezioni l'esame del Dna avrebbe dato ragione al 'pugile' anche per l'aggressione in via Andersen a una donna di 41 anni

Roma, 12 mar. (Adnkronos/Ign) - Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, disporrà ''una verifica'' dopo la trasmissione televisiva del video della confessione di Alexandru Loyos, uno dei due romeni al centro delle indagini per lo stupro della Caffarella. Ad annunciarlo è stato lo stesso Maroni. ''E' sbagliata - ha rilevato il responsabile del Viminale - la spettacolarizzazione di queste vicende, perché una persona, anche se è un presunto criminale, merita sempre rispetto e c'è la presunzione di innocenza fino a che non è definitivamente condannato''.

''Farò una verifica su quello che è successo. Credo che non sia giusto né opportuno - ha concluso Maroni - mostrare documenti di questo tipo in televisione solo per soddisfare la sete di voyeurismo di molti cittadini''.

Sulla vicenda del video trasmesso in tv e finito su internet è intervenuto anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. ''Fa parte delle cose che non dovrebbero accadere - ha detto il Guardasigilli - valuteremo con gli uffici''.

Il giudice dell'udienza preliminare di Roma Filippo Steidl deciderà domani se convalidare il provvedimento con il quale la Procura della Repubblica ha disposto due giorni fa il nuovo fermo di Alexandru Loyos, ipotizzando per lui i reati di calunnia aggravata, autocalunnia e favoreggiamento.

Questo provvedimento, come è noto, ha bloccato l'efficacia della decisione presa dal Tribunale del Riesame che, annullando l'ordine di custodia cautelare emessa nei confronti di Loyos per quanto riguarda l'aggressione e la violenza di San Valentino, ne aveva disposto la scarcerazione ''se non detenuto per altra causa''. L'udienza di convalida, cui parteciperà il pubblico ministero Vincenzo Barba al quale è affidata l'indagine, comincerà alle 11.30 nel carcere di Regina Coeli.

Mentre Karol Racz, l'altro romeno scagionato per lo stupro avvenuto alla Caffarella, ha presentato un ricorso al Tribunale del Riesame sollecitando la revoca del provvedimento con il quale lo si accusa d'aver violentato il 21 gennaio scorso in via Andersen a Primavalle una donna di 41 anni. Il ricorso è stato presentato oggi dal difensore del romeno, avvocato Lorenzo La Marca, ed è probabile che la questione venga discussa la prossima settimana.

Secondo indiscrezioni circolate in questi giorni, l'esame del Dna fatto nell'ambito dell'indagine su questo stupro avrebbe dato esiti favorevoli a Racz, dimostrando la sua estraneità alla vicenda. Negli ambienti della Procura comunque si sottolinea che fino ad oggi il perito incaricato dell'indagine non ha ancora riferito al pubblico ministero Nicola Maiorano al quale è affidata l'inchiesta l'esito delle sue indagini tecnico-scientifiche. Il termine fissato per la consegna dei risultati delle indagini scadrà infatti soltanto tra 15 giorni.